Fuori dal mondo: L’ombra del giorno di Giuseppe Piccioni

Nella piazza principale di Ascoli Piceno (dove Piccioni esordisce con Il grande Blek nel 1989), c’è un movimento garbato e ottimista, fatto di domeniche in famiglia e giorni di passeggiate e lavoro. Le osserva ipnotizzato il gestore di un ristorante dal di dentro delle grandi vetrate, al riparo, o meglio, ad una distanza che fin dal principio ci appare come difensiva rispetto alla vita. Si tratta di Luciano, reduce dalla Grande Guerra, dove ha imparato a uccidere e da dove è tornato con una gamba zoppa e una disillusione pacata e silenziosa. Siamo nel 1938, il momento esatto in cui, in una città di provincia, il fascismo inizia a enunciare se stesso e la paura e lo sgomento invadono la serenità abituale. Anna entra nella vita di Luciano con discrezione, una folata di vento che porta idee, notizie, rivelazioni e un sentimento soffocato da anni, ma con un’aura di mistero che la rende interessante.

 

 

I due si osservano, si sfuggono e si cercano, semplicemente, come in un classico corteggiamento, protetti dai reciproci sguardi, fino a quando l’imprevedibile diventa reale, la luce cambia e l’allegria scompare. La leggerezza dei discorsi tra colleghi si fa presagio funesto. All’improvviso bisogna stare attenti a ciò che si dice e forse anche a ciò che si pensa. Piccioni è abile ed elegante nel descrivere un “prima” e un “dopo” trasformando il mondo che si affaccia sulle vetrate del ristorante da sogno in incubo. Non c’è più spazio per l’immaginazione perché le leggi razziali e le persecuzioni politiche si propagano con velocità dalla Germania nazista ad un’Italia impreparata e forse ingenua, che, tuttavia, le veste di nuova normalità, con un’ombra inedita che si diffonde nell’aria, certo, ma che per un poco resta sospesa nel suo reale significato. Ne L’ombra del giorno le canzonette sottolineano il contrasto perché parlano d’amore, di vita, di passione. Canzoni d’epoca e non, che aggiungono malinconia e profondità alle situazioni, che sembrano all’improvviso appartenere ad un mondo diverso. La loro dolcezza travolge le immagini, ma la Storia irrompe sempre, coi suoi tempi disuguali, infiltrandosi in ogni spazio, tra i tavoli, in cucina, nella cantina adibita a nascondiglio. Nelle storie minute dei singoli e nei sentimenti improvvisi, si disegna l’affresco di una collettività, il ritratto di un paese in bilico, ma pronto a precipitare in un abisso di guerra. L’amore tra i due protagonisti si fa impossibile e il mélo divampa durante una cena crudele e grottesca. Tutto è cambiato in pochi giorni, anzi, in pochi minuti. L’arroganza di un potere malato – che illude i giovani e umilia i vecchi – si impone sulla spensieratezza degli inizi, la piazza si svuota e le illusioni svaniscono, divorate dalla fuga e da una guerra che si fa sempre più vicina.