Ricercando la perdita di sé: su MUBI How To Have Sex di Molly Manning Walker

How To Have Sex dell’esordiente alla regia Molly Manning Walker è allo stesso tempo un film già visto e mai visto abbastanza, un coming of age al femminile che sembra una rilettura drammatica delle commedie grottesche inscenate dal reality show Geordie Shore, produzione di MTV UK arrivata ad oggi alla 24° edizione, a sua volta adattamento di Jersey Shore, prodotto da MTV USA, per fortuna estinto alla 6° edizione nel 2012, sebbene con un gran numero di spin-off. Il film e il reality raccontano la stessa storia: adolescenti inglesi che hanno come unico orizzonte di divertimento e socializzazione quello delle discoteche e delle località estive, dove il fine è sballarsi e fare sesso, ovvero perdersi: perdere coscienza, perdere la memoria, poco importa se grazie all’alcol o all’orgasmo. Il ritratto generazionale che esce dall’uno e dall’altro racconto, con partecipazione patetica nel primo e ironia involontaria nel secondo, è disperante. Ci troviamo di fronte a una generazione di giovanissimi (solo l’ultima o quelle che si sono susseguite negli ultimi trent’anni?) che della ricerca di sensazioni fine a stesse e forti abbastanza da generare perdita di sé fanno l’unico principio di vita. Come dire che la loro partecipazione alla vita funziona nella misura in cui smettono di sentirla proprio per averla sentita troppo. Senza rendersi conto di quello che fanno e paradossalmente senza godersi nulla davvero, sempre alle prese con le nausee e i vuoti di memoria dell’hangover.

 

 
A questo si aggiunga che, in quel circo dei divertimenti, complici lo sballo e l’oblio, ogni giovane femmina diventa potenziale vittima di stupro e ogni maschio potenziale stupratore, nell’incoscienza cercata da entrambi. Dunque, alla resa dei conti del giorno dopo, è difficile giudicare chi ha fatto cosa ed esattamente con quale intenzione. Sembra essere questo il senso di How To Have Sex, in cui sei giovani inglesi, tre ragazze e tre ragazzi (due maschi e un ragazzo trans*/lesbica butch: il film non lo chiarisce), si incontrano dopo la fine della scuola a Creta, in un villaggio agghiacciante costruito appositamente per capitalizzare i loro desideri, o meglio le coazioni imposte loro dal gruppo e dalla società stessa, che li confina in queste riserve in cui posso autodistruggersi senza quasi interferire col mondo degli adulti. Ciascuno dei sei ha un ruolo: la vergine, la sessualmente spregiudicata, la ragazza che sta scoprendo il suo orientamento, la ragazza che il suo orientamento (o la sua identità di genere) lo ha già scoperto, il ragazzo predatore e anaffettivo, il ragazzo dolce e delicato. La regista dice: «Ho avuto l’occasione di rivedere alcune amiche del liceo e stavamo ricordando le vacanze tra ragazze che facevamo allora. Mentre passavamo in rassegna le varie storie, ho iniziato a rendermi conto dell’impatto che quelle vacanze avevano avuto sul modo in cui ognuno di noi concepisce il sesso. Da lì ho avuto l’idea di scrivere un film che raccontasse la pressione sociale che spinge i giovani alle prime esperienze sessuali, ma volevo assicurarmi che fosse narrato dal punto di vista delle ragazze e senza un atteggiamento giudicante: un film capace di catturare il momento insieme migliore e peggiore della vita di molte persone».

 

 
Il film, vincitore della sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2023 e Miglior film rivelazione agli EFA, nelle sale italiane dal 1° febbraio, riesce a catturare quel momento grazie a una scrittura asciutta e per niente moralistica e grazie all’interpretazione magistrale di Mia McKenna-Bruce, premiata per il ruolo ai British Independent Film Awards e candidata agli European Film Awards, ma anche a quelle altrettanto calibrate di Lara Peake e Shaun Thomas. Alla fine non c’è redenzione per nessuno e allo stesso tempo sembra che, nella loro incoscienza, tutti si salvino, lasciando sullo sfondo un’industria del divertimento gestita da adulti che sfruttano senza scrupoli le debolezze dei loro stessi figli.