I labirinti della conoscenza in Umberto Eco – La biblioteca del mondo di Davide Ferrario

Ma in fondo la realtà esiste…
Umberto Eco, dal film

In questo sguardo minimo, tanto per restare in tema, che Davide Ferrario cineasta che sa sempre felicemente trovare nell’immaginario narrativo popolare materia per il suo lavoro di regista, ci offre una panoramica sull’universo alchimistico-semiotico di Umberto Eco. Da questo film sembra emergere con forza un tema dominante che esiste nel sottotesto delle immagini del film, ma che solo occasionalmente e incidentalmente si affaccia all’attenzione dello spettatore. Il tema del labirinto forse costituisce, proprio all’interno dell’organizzazione strutturale del film, il baricentro dentro il quale si muove la macchina da presa nella casa del più che geniale professore/scrittore/filosofo, ma anche l’ideale macchina da presa cerebrale che ci guida dentro i percorsi, babelici, del sapere. Percorsi, si badi bene, che lungi dal costituire elementi fondanti per una cultura “alta”, si nutre, come sanno perfino i conoscitori non espertissimi dell’Autore, anche di quella cultura “bassa” che sembra anzi alimentare le scoperte, gli addentellati più fortemente legati a quella maggiore e che spesso la ispirano e sicuramente la confermano.

 

 

È dentro queste aporie che il lavoro di Umberto Eco si apriva all’interpretazione del mondo e dei comportamenti. A tale proposito basti solo ricordare il divertente inserto che ci offre il film sulla spiegazione alla nipotina delle verità e delle bugie della televisione.
E quindi Ferrario ci porta in questo labirinto di parole e libri, carta, paradossi, bugie, verità e storie, materializzazioni del falso e negazioni del vero, personaggi e luoghi inventati, inesistenti, immaginarie terre e ipocrisie quotidiane di quelle bugie – che costituirono il primo oggetto di studio per Eco – che non fanno male e che traducono l’indifferenza: stammi bene, ti vedo bene e così via. Fino alla negazione, con provocazione intellettuale e ardita concezione delle relazioni umane, che arriva a dire che ciò che unisce non è l’amore, che è sentimento vissuto singolarmente e pressoché esclusivo poiché comporta sempre una gelosia reciproca tra l’amante e l’amato e viceversa, ma l’odio, il caldo odio che, invece, abbraccia in un unico solidale sentimento, ad esempio, intere popolazioni verso altri popoli.

 

 

Le provocazioni intellettuali ci sanno restituire la statura dello studioso, che con aria divertita e con l’intenzione di divertire attraverso gli enigmi del sapere e i dubbi della conoscenza ha diffuso il suo nome nel mondo. La rassegna dei telegiornali esteri che hanno dato la notizia della sua scomparsa costituisce la dimostrazione della sua fama. Ferrario ne ricava un racconto leggero, sempre sul filo di quell’ironia che caratterizzava Umberto Eco. Le sequenze pulite e simmetriche, che stilizzano una razionalità scientifica, delle biblioteche italiane e straniere, altrettanti labirinti di bellezza e della possibile conoscenza, sembrano diventare l’estensione della già ponderosa biblioteca di Eco, costituita da oltre trentamila volumi di epoca moderna e da milleduecento libri antichi.
È in questa vertigine tra sapere e desiderio di altra conoscenza, tra semiotica e antichi testi dimenticati che hanno preconizzato una modernità di cui nemmeno ci accorgiamo che ritroviamo il senso vero del lavoro di Umberto Eco, appassionato del sapere e diffidente verso il web. La rete diventa lo strumento per la conoscenza e la critica del nostro presente, nell’infinito spazio in cui si muove. Eco credeva nelle sue potenzialità, ma nutriva forti perplessità che nascevano da un possibile eccesso di offerta che diventa la possibilità del nulla.

 

 

Diecimila volumi di bibliografia online non ci aiutano a estendere il nostro orizzonte intellettuale, i tre testi che invece un tempo una ricerca bibliografica ci restituiva, diventavano una lettura quasi obbligatoria che allargava la conoscenza.
I sei capitoli e l’epilogo tra domande e insegnamenti, accompagnati da piacevoli monologhi che nascono dalla lettura dei suoi saggi interpretati da altrettanti attori – Giuseppe Cederna, Niccolò Ferrero, Paolo Giangrasso, Walter Leonardi, Zoe Tavarelli e Mariella Valentini – contribuisco a conferire al film un’aria familiare, ma composta. Il resto è serietà dell’ironia che caratterizzava gli insegnamenti del Professore e tutto insieme fa trascorrere gli ottanta minuti di durata del film senza inciampi e tutto fila via sull’olio del piacere dell’ascolto e dello sguardo e ci si ritrova ai titoli di coda con il desiderio di tornare indietro per rivivere le emozioni.