Il cinema senza muri: su MUBI Tutti pazzi a Tel Aviv di Sameh Zoabi

Salam è un trentenne palestinese. Bei modi e bei capelli. Ha un che di mediorientale che buca lo schermo. Di lavoro, fa l’assistente di produzione e controlla i dialoghi della soap opera più amata e seguita in Palestina e in Israele.Tel Aviv brucia (il titolo della soap), racconta di una affascinante spia palestinese che nel 1967 deve sedurre ed eliminare un potentissimo generale israeliano. Salem è di origine palestinese ma vive a Gerusalemme. Ogni giorno va sul set a Ramallah. Ossia, esce da Israele ed entra in Cisgiordania, terra dei palestinesi. La sera fa il contrario. E ogni volta, due volte al giorno, passa dal posto di blocco israeliano. Dove c’è Assi, comandante ebreo la cui moglie adora la soap opera palestinese. I due fanno un patto. Machiavellico. La cosa bella di Tutti pazzi a Tel Aviv è che alla fine non sai se ti piace di più Tutti pazzi a Tel Aviv o Tel Aviv brucia. Il film o la soap opera dentro al film? L’assistente di produzione o la spia in tailleur alla Jackie Kennedy? Al Festival di Venezia 2019 il primo ha vinto il premio al Miglior attore della sezione Orizzonti. L’ha vinto Kais Nashif/Salam che, con quella sua aria medioriental-lunare, è davvero irresistibile. Ma anche la sceneggiatura è convincente. L’autore è stato battezzato “Woody Allen in Cisgiordania”, definizione un po’ impegnativa, ma in fondo non troppo lontana dalla realtà. Forse troppo circoscritta geograficamente dato che il regista dice la sua anche in Palestina e in Israele. Perché il cinema, quando è cinema vero non conosce confini. Muri. Posti di blocco.
 


 

Si può ridere di una guerra che non finisce mai e sembra non poter finire mai? Sì, se racconti la quotidianità con lo spirito di Sameh Zoabi, il regista di Tutti pazzi a Tel Aviv: «Le persone considerano il territori e il conflitto molto seriamente. Ma io credo che la commedia offra la libertà di discutere, molto seriamente, su argomenti anche difficili e in modi diversi. Quando ero piccolo, in Israele, arrivavano i programmi in arabo dall’Egitto. E loro trasmettevano soap opera seguitissime anche dagli israeliani. La soap del mio film è un omaggio a quelle che vedevo da ragazzino. Recentemente ne guardavo una moderna con mia madre: io ridevo e lei piangeva per la stessa scena… Cerco di divertire il pubblico ma anche di mostrare la condizione in cui i personaggi vivono davvero. Come diceva Charlie Chaplin, “per ridere veramente devi essere in grado di sopportare il tuo dolore e giocarci”».