Su RaiPlay il cinema totale, la lingua universale di Il naso o la cospirazione degli anticonformisti, di Andrey Khrzhanovskiy

Questo dell’ultraottantenne regista russo – autore dedito al cinema d’animazione che non disdegna anche attività documentaristiche, di scrittura e produzione – è un film che già dall’immediato mette a confronto lo spettatore – e per primo chi scrive – con i limiti della propria conoscenza. Un’opposta considerazione porta a confrontare la molto più vasta conoscenza dell’autore, che proprio in virtù di questa padronanza della/e materia/e, è in grado di intessere il suo film con correlazioni e legami inconsueti, tra storia e fantasia, azzardati e illuminanti nessi in un’invenzione ininterrotta di divertenti concatenazioni, che lasciando intatta la narrazione la arricchiscono di inconsueto e imprevisto senso.Andrey Khrzhanovskiy concepisce un film di consistenza storica su un sostrato fantastico e dimostra quanto la storia possa essere raccontata attraverso la fantasia e di quanto quest’ultima sia utile per illuminare la critica storica. È un effetto tipico della cultura russa riconducibile alla sua spiccata originalità, che nel cinema, come in questo caso, diventa sguardo surreale carico di una lunga e ricca tradizione, oltre che vivacizzato da una inimitabile genialità. È in questa direzione che Il naso o la cospirazione degli anticonformisti, con le sue animazioni frammiste a filmati del cinema russo degli anni ‘20, ma non soltanto, con le sue incursioni nella storia della russa staliniana, smette di legarsi a qualsiasi realismo imitativo o a qualsivoglia piana narrazione storica per giocare le carte di un surrealismo critico che sa farsi anche vigorosa critica storica e forse anche celata critica ad un intollerabile presente.

 

 

Andrey Khrzhanovskiy con il suo film d’animazione, dopo avere immaginato un pubblico di viaggiatori – tra i quali è riconoscibile Tonino Guerra – che su un aereo guarda sui piccoli monitor i tanti film che hanno fatto la storia del cinema, comincia questo lungo viaggio/sogno in un film che diventa favolistico e onirico, in quella dimensione che annulla il tempo e ridetermina lo spazio che diventa quello dell’immaginazione. Per dirla in altre parole il gran lavoro dell’ottuagenario regista russo, che si esprime con toni fanciulleschi per raccontare eventi che solo un adulto consumato e sapiente può raccontare, deriva più da Chagall che da Ėjzenštejn, ma poiché Khrzhanovskiy – che molti impareranno a conoscere con questo film – è un narratore che guarda alle sue radici. Il suo complesso e stratificato racconto prende avvio dall’oggi martoriata Ucraina, patria dello scrittore Nikolaj Vasil’evič Gogol, autore del racconto che dà il titolo al film. Gogol è stato uno scrittore che ha sempre lavorato sul filo di un realismo fantastico con tocchi di grottesco e, per questo, il senso della sua narrazione e, in particolare, l’elegante forma di critica sociale contenuta nel racconto ben si adatta al progetto dentro il quale è maturato il film. Il naso sulle cui tracce il film si sviluppa è proprio quello del racconto dello scrittore ucraino con i tratti umoristico-drammatici, caratteristiche alle quali Khrzhanovskiy attinge per dare vita alla sottile vena umoristica sulla quale imbastire il suo film con uno sguardo ossessivo dentro l’arroganza della dittatura staliniana. Tutto avviene con una forma ricercata, surreale e fantastica, a cominciare dalle tecniche di animazione utilizzate, per proseguire con i detour narrativi brevi, improvvisi e destabilizzanti, dentro i quali si avvolgono e si legano tempi e temi, persone ed avvenimenti. Il naso o la cospirazione degli anticonformisti agisce nel sincretismo degli avvenimenti, tutti considerati come dentro una contemporaneità, quella che appartiene al sogno, e che il registro onirico sa rivelare in quel lavoro di condensazione opera dei sogni, in quell’inalterato tempo continuo del nastro di Moebius ideato dal matematico tedesco.

 

 

Dunque, la traccia del film, che ha come sottotitolo, non a caso, Sogno in tre parti, prende avvio da quel racconto che vede come protagonista l’assessore di collegio Kovalèv, noto funzionario di Stato, perdere il naso perché forse volato via per un colpo di rasoio del suo barbiere. Fatto sta che al mattino il barbiere un po’ ubriacone, trova un naso dentro un pane che sua moglie ha appena sfornato. Impaurito proverà a disfarsi del naso e intanto Kovalèv farà di tutto per ritrovarlo. Intanto il naso, assumendo sembianze umane, stava già vivendo una propria e autonoma vita girando per la città spacciandosi per un membro del Consiglio di Stato. Le peregrinazioni di Kovalèv saranno infruttuose, ma alla fine il suo viso recupererà il naso e tutto si accomoderà. Il film pur assumendo il racconto di Gogol come superficie sulla quale giocare con la fantasia, ha altri fini e la vicenda del naso perduto diventa scenario e sfondo di quella che lentamente viene in rilevo durante le tre parti del film. Khrzhanovskiy ci porta dove il racconto si fa reale, quello della Russia staliniana e del suo potere pervasivo che coartava anche il volere dei funzionari della grigia nomenclatura del regime. La storia della Russia di quegli anni si fa spazio attraverso i disegni e, come nei sogni, le sagome si deformano, e mentre le sembianze del dittatore si ingigantiscono si rimpiccioliscono quelle dei suoi sottoposti.

 

 

Khrzhanovskiy intesse il suo sguardo sulla storia russa non solo con i disegni e i colori dai tratti infantili, ma arricchisce la narrazione con le sequenze opportunamente manipolate, in un’ottica ancora legata all’animazione, de La Carazzata Potëmkin e di altro cinema sovietico, e con altre immagini del tempo sedimentate nella memoria. Immagini che lavorano sullo sfondo della musica di Šostakóvič che diventa con la sua opera un altro protagonista del film. Fu, infatti, proprio al famoso compositore russo che fu commissionata un’opera lirica sul racconto di Gogol ed è in questa forma di canto lirico che il film si sviluppa. La musica e le immagini nel veloce lavoro di montaggio, che riecheggia quello esemplare che fu di Vertov o dello stesso Ėjzenštejn, conferisce alle sequenze quella accentuata espressività nell’equilibrio misurato del sottile umorismo, che sa di profonda ironia del racconto. Un prefinale in crescendo e un lento finale della riflessione con i volti moltiplicati sullo schermo delle vittime del regime staliniano concludono, con un tocco di amara verità, il film. Grande merito va dunque riconosciuto al film di Khrzhanovskiy e al suo fine intreccio tra storia, letteratura, musica e critica storico-politica. L’ottantenne regista russo ci insegna quale sia il fine dell’arte, lo scopo del lavoro culturale. Ci insegna come utilizzare il cinema per restituire quella complessità che è depositata nella storia e che neppure le parole, a volte, sono in grado di offrire. Khrzhanovskiy con il suo film enciclopedico ha, dunque, di nuovo collaudato le strutture narrative che il cinema può offrire, di recente solo Godard con Histoire(s) du cinéma e Sokurov con Arca russa lo avevano fatto per inventare una specie di cinema totale che sa parlare una lingua universale.