Il colore dell’amarezza in Asia di Ruthy Pribar su MioCinema

Shira Haas con la sua minuta figura, ma assorbente presenza sulla scena, passa dalla sofferenza dello spirito della miniserie Unorthodox a quella del corpo di Vika segnato da una malattia degenerativa che nell’arco di poco tempo la porterà alla morte. Non valgono le cure che la madre, infermiera e madre single, le presta. La giovane coprotagonista del film dell’esordiente Ruthy Pribar, lascerà questo mondo e il film si trasforma in un indefinito, breve scorcio temporale, nel racconto di due solitudini, quello di Vika e di Asia, immigrata russa in Israele, che prova, ma senza fortuna, a intrattenere una relazione amorosa con un medico dell’ospedale presso il quale lavora, ma senza che ciò riesca a trasformarsi in vera solidarietà per la sua condizione di afflizione, il medico è distratto e ciò che le può offrire sono piccoli prestiti in denaro e l’occasionale appagamento sessuale. Come già in un suo precedente cortometraggio The caregiver (letteralmente chi si prende cura di qualcun altro), con successo selezionato in numerosi festival, anche Asia è una storia di solidarietà, che qui diventa familiare, quindi una vicenda in cui contano le scoperte delle relazioni familiari che si rivelano insospettabilmente ricche di emozioni così troppe volte ricercate altrove. È il rapporto madre figlia qui ad essere messo alla prova, una relazione spigolosa, tra due caratteri differenti: Vika che cerca una sua indipendenza e, come i giovani, disponibile a nuove esperienze amorose e Asia, madre apparentemente distante di cui forse Vika sa poco, e soprattutto sa molto poco di suo padre svanito alla sua vista e a quella della madre, ma così importante nella vita di Asia prima di Vika.

 

 

 

L’avanzare della malattia e la consapevolezza della prematura e definitiva separazione muta l’atteggiamento tra le due donne e ai sentimenti materni, anche protettivi, si sostituiscono i sentimenti femminili comprensivi e solidali. Asia comprende i desideri anche sessuali di Vika e prova a farli soddisfare. Si intravede quella sopita solidarietà necessaria e invisibile tra madre e figlia, si intravede quello che forse avrebbe dovuto essere da sempre e che ora avviene solo in attesa della morte. È per queste ragioni che il film della regista israeliana, nel suo assetto complessivo quasi sussurrato tra le due protagoniste e altrettanto quasi sottovoce vissuto dagli altri protagonisti, si veste di un colore fatto di assoluta amarezza, di rivelata incapacità a raccontare sé stessi e far passare i propri desideri e aspirazioni all’interno della ristretta maglia delle relazioni familiari. Asia racconta ciò che sempre avrebbe potuto e non è stato, ciò che sfugge ineluttabilmente di mano e non ci si accorge neppure di perdere. Ruthy Pribar è molto attenta a questi aspetti intimisti e le due protagoniste sanno riversare queste emozioni nella loro presenza sulla scena, soprattutto nella loro quasi sovrapponibilità e somiglianza, che accentua il grado emotivo della loro relazione che si fa sempre più solidale e sincera.

 

 

Asia per tutte queste ragioni, e non solo per il progressivo e funesto degenerare della malattia di Vika, diventa un film particolarmente emozionante e perfino straziante nella sua profonda verità trasposta nelle immagini e nelle prove attoriali delle due protagoniste. Un esordio nel lungometraggio per la giovane regista israeliana di sicura presa, in un racconto che sa incidere la coscienza, lasciando tracce e forse trovando soluzioni per ferite che appaiono insanabili. Asia è in fondo un film sulla malattia del corpo e su quella delle relazioni, sulla possibilità però di una guarigione della seconda, a volte la più difficile, poiché segrete e non dette le cause che covano dentro un orgoglio inspiegabile, che Ruthy Pribar sa raccontare e che questo dimesso e quasi ripiegato film sa mostrare senza timore e senza pietismi. Candidato all’Oscar come migliore film straniero e premiato al Tribeca Festival per la migliore attrice protagonista Shira Haas, per la fotografia e quale miglior film, Asia è ora visibile su MioCinema nella rassegna che il sito dedica al cinema israeliano, il che conferma la vitalità di quella cinematografia di cui l’esordiente Ruthy Pribar si fa portavoce e fidata testimone.