Il potere del guaritore: Charlatan di Agnieszka Holland

Lo spaccato storico si muove tra le due guerre, in una Cecoslovacchia sospesa tra occupazione nazista e regime comunista, a confronto dunque con uno sfondo totalitario che si prospetta come cono d’ombra di una mistica del potere incarnata nelle figure forti. L’iconografia cui afferisce Charlatan di Agnieszka Holland sin dall’inizio è, in effetti, coerente con una dimensione misterica della figura del protagonista, l’uomo della salvezza che si cala dall’altro sulla folla di pazienti in timorosa attesa del suo responso. In campo c’è Jan Mikolášek, un erborista ceco realmente esistito, tenuto per medico o guaritore da molti, o semplicemente un ciarlatano secondo le accuse che gli furono fatte quando infine cadde in disgrazia, dopo aver curato tra le due guerre le personalità più in vista dell’epoca. La sua abilità stava nella “diagnosi urinaria”, che basandosi sull’osservazione e sull’esperienza gli permetteva di diagnosticare malattie e curarle efficacemente. Questo lo fece diventare una celebrità, oltre che un uomo ricchissimo, e la sua villa fu meta di semplice gente del popolo come di personalità in vista. Sino a quando, dopo la morte del primo ministro Antonín Zápotocký, sotto la cui protezione aveva operato indisturbato anche sotto il regime comunista, nonostante avesse collaborato con i tedeschi, Jan Mikolášek non fu accusato di essere un truffatore e di aver provocato la morte di due suoi pazienti e finì in prigione.

 

 

Sempre attenta alle figure e alle vicende in bilico tra Storia e doppio fondo misterico della realtà, Agnieszka Holland dedica a questo incredibile personaggio (morto infine a Praga nel 1973, all’età di 83 anni) un film lineare ma intenso, ricco di sfumature tematiche e interpretative, per niente manicheo nella definizione del personaggio e degli eventi. Del resto, Mikolášek aderisce perfettamente alla visione della realtà che la regista porta avanti da sempre, basata su un confronto storicistico, orizzontale con gli eventi ma innervata di fattori interpretativi che corrispondono a un rapporto fluido con tutto ciò che non corrisponde a una visione razionalistica, portata a guardare con simpatia i personaggi che deviano dall’ordine naturale e si disperdono nelle loro derive mentali. È evidente che un personaggio come Mikolášek, un erborista che vede il mistero della vita e della morte laddove l’occhio umano tende a non guardare, offre alla Holland l’occasione di un confronto storico tra la dimensione materica della Storia, l’orrore tetragono e terribilmente concreto dei regimi totalitari sul cui sfondo il suo eroe si muove, e il bisogno di un approccio salvifico alla vita, magari irrazionale e soggettivo, ma anche capace di allontanare il peso costante della morte che grava sull’umanità dei poveri e dei potenti.

 

 

Questo non le impedisce di tratteggiare una figura ambigua, che sa gestire il suo potere per affermare se stesso e per arricchirsi, capace di trovare un equilibrio stabile tra ciò che vende come verità ma è menzogna e ciò che sembra falso ma è vero. Che poi è esattamente il gioco su cui si regge lo schema di ogni potere totalitario, che riesce a tenere in scacco il principio di realtà della Storia sotto gli occhi del popolo. Presentato fuori concorso alla Berlinale 2020, Charlatan è coerente a questa dinamica anche nella messa in scena, che gioca sull’ombreggiatura misterica degli elementi scenografici e sui cromatismi opachi, mentre si affida alla tenuta drammaturgica basata sul contrappunto offerto dalla figura di František, l’assistente e amante di Mikolášek, che per la Holland diventa qualcosa in più del semplice supporto sentimentale del suo protagonista, ma la figura sulla quale ruota lo stesso principio di realtà del film.