Il tempo della vita e quello dell’amore in Nowhere special – Una storia d’amore, di Uberto Pasolini

Con Still life Pasolini ci aveva incatenato alla storia di John May, funzionario dello Stato che seppelliva definitivamente i defunti senza una discendenza, vivendo dentro una natura morta di un’esistenza dedicata ad archiviare scomparse, a registrare nomi sui registri dei decessi, fino a quando anche lui farà parte della natura morta che vive. Con Nowhere special Pasolini prosegue nel suo filo logico narrativo, nella sua ricerca di anelli mancanti, di mancate congiunzioni tra questo mondo e quello sconosciuto del dopo, di quell’al di là immaginato da Eastwood nell’incompreso Hereafter, consolazione terrena di chi non sa prefigurare il futuro legame con gli affetti, i pochi, pochissimi affetti che si stanno per lasciare consapevolmente in quel senso di vita fuggevole che dà una malattia inguaribile, il morbo oscuro che sembra mangiare le ore e svuotare l’interesse per la vita. Quella condizione che spingerebbe al suicidio anche John se non ci fosse da sistemare il figlio, un bambino la cui madre è tornata velocemente in Russia dopo la sua nascita, lasciando l’Inghilterra, il marito John e il piccolo Michael, che presto si ritroverà da solo con la sua nuova madre, quella che John, in procinto di lasciare la vita, dovrà scegliere per lui ancora minuscolo, ma già sensibile, dovendogli spiegare anche il possibile senso della morte che lascia qui il corpo, ma non la vita. È tutto possibile, anche la prosecuzione della loro vita in comune, affinché Michael possa comprendere che tutto questo non è un abbandono.

 

 

Dice Rodolfo Bisatti, regista di Al dio ignoto, un film passato quasi inosservato tra pandemie e blockbusters, tra chiusure e aperture limitate, “Una società che non pensa alla morte è destinata a morire. (…) Vivere nella consapevolezza della morte non significa esserne assoggettati ma, al contrario, gestire in modo migliore il proprio tempo, investire sugli aspetti essenziali della vita. Una visione che non è materialistica, ma che vede nelle cose di tutti i giorni lo splendore dell’Esserci; la Meraviglia.” Parole che sembrano tagliate addosso a questo film di corpi spenti, come solo il cinema di Pasolini ci ha saputo dare, in questo film di sorrisi dolorosi, di progetti a termine, di chiusure di una vita intera dentro una scatola di plastica, di povere eredità materiali, di ricche eredità morali, di piccole gioie e rassegnazioni. Michael, l’”ometto” che cresce lentamente sotto gli occhi del padre – un James Norton che merita un premio qualunque esso sia, basta che sia importante – è il ponte che lega John alla terra, lo tiene saldo alla vita che si assottiglia come la striscia di vernice sulla quale non sa camminare e che invece il piccolo Michael percorre con sicurezza sotto gli occhi del padre. Il film di Pasolini è un film sulla straziante attesa, sul poco tempo disponibile a riordinare pensieri, idee, volontà, desideri, in quella specie di corsa contro il tempo che sfianca il fisico e sfibra il morale. Un film che sa raccontare un amore senza condizioni, che si cala dentro un mondo sconosciuto, quello delle coppie in cerca d’adozione. Un mondo che Pasolini descrive a volte con sotteso distacco, uguale a quello della coppia che chiede indietro a Michael il coniglio di pezza che gli avevano regalato. O con il trasporto solare con cui Ella, la madre mancata e sola, costretta a dare in adozione il suo primo figlio, entra in immediata e naturale sintonia con Michael che sa cogliere nella quotidiana semplicità dei gesti e delle parole, quel calore familiare che per lei si fonda solo sull’amore esclusivo, senza che abbiano importanza la forma e il colore e tutto nell’integrità di un velo sottile e resistente di quella scena che sembra illuminarsi.

 

 

Nowhere special è un film sul progetto del futuro senza futuro, ma in relazione agli affetti, a quell’avvenire invisibile che si deve preparare per loro, in quella stessa ottica di Philippe Lioret in Tutti i nostri desideri. Un lavoro, quello di Pasolini, che resta radicato in quella realtà britannica piena di anfratti dominati dalle regole, dalle parole scritte sulla carta e non in quella rete di relazioni umane, dentro le quali si muovono i funzionari dello Stato che devono accompagnare i percorsi delle famiglie disagiate, quelli che abbiamo visto in Ladybird ladybird, per intenderci, qui più accondiscendenti, ma anche lontani da ogni desiderio di John cui urge la vita per sistemare a dovere il futuro. Ritroviamo quella dura inflessibilità, tutta inglese, della burocrazia dentro la quale vediamo John, lavavetri senza futuro, ancora più disperato di certi personaggi di Ken Loach. Nowhere special è un film che si guarda con l’empatia che dà la vita, con un senso crescente di sgomento e anche con quelle lacrime agli occhi che non sanno tornare indietro. Pasolini sa attribuire solidità alla storia, evita come la peste ogni piagnisteo, ogni scena madre, risolve tutto dentro un’asciutta narrazione di cui non può farsi a meno di niente. Il film è tutto densamente inscritto in questo scampolo di vita che resta a John per organizzare e assicurare il migliore futuro possibile a Michael, forse non fatto di ricchezze. Forse diventerà un meccanico che aiuterà l’amico del padre e vivrà in una casa di ringhiera, povera e proletaria e ancora una volta affidato ad un solo genitore, Ella che lo accoglierà con un sorriso in quell’ultima stretta di mano tra il padre e il figlio che sancisce il loro addio.