Jane par Charlotte di Charlotte Gainsbourg: un ritratto familiare che si fa universale

«Un pretesto per poterti guardare come non ti ho mai guardata o come non ho mai osato guardarti»: così la figlia (Charlotte Gainsbourg), spiega alla madre (Jane Birkin), perché ha deciso di realizzare il suo primo lungometraggio proprio su di lei. E svela anche il suo metodo: filmare dei piccoli pezzi, costruendo man mano che si procede, senza seguire una sceneggiatura perché «Varda aveva ragione. Bisogna catturare». E questo Jane par Charlotte strizza evidentemente l’occhio a Jane B. par Agnès V., il documentario che la grande regista francese realizzò sulla Brikin nel 1988: quasi un completamento, inevitabilmente qualcosa di ancora più intimo trattandosi di madre e figlia, ma come se fossero due persone qualunque, identificate fin dal titolo solo dal loro nome. Anche in questo caso le due donne le due donne si confrontano e si rispecchiano mantenendo il pudore che ha sempre contraddistinto il loro rapporto («Abbiamo entrambe un pudore una rispetto all’altra e non so da dove venga fuori», dice Jane). Le riprese sono durate svariati anni e sono state realizzate in giro per il mondo: in Giappone dove la Birkin, accompagnata da un’orchestra sinfonica, nel 2017 si è esibita interpretando le canzoni di Serge Gainsbourg che l’hanno resa celebre, a New York dove per la prima volta è andata con il primo marito John Barry, ma non ha «ricordi particolarmente felici» e soprattutto nella casa di campagna in Bretagna dove abita.

 

 

Tante le questioni affrontate: la maternità (entrambe hanno avuto tre figli e la piccola Jo Attal compare spesso nelle riprese), la celebrità (il ricordo dei concerti di Jane al Bataclan, alla Carnagie Hall), il rapporto con i rispettivi padri, il senso di colpa (soprattutto nei confronti della figlia maggiore, Kate Barry, suicidatasi nel 2013), la tendenza ad accumulare oggetti e a non buttare via nulla («Penso sia una leggera malattia», rivela Jane), gli animali visti come «un dono del cielo», l’insonnia di cui soffre da sempre («A 16 anni, il primo sonnifero») e l’inesorabile scorrere del tempo (Jane, che adorava essere fotografata, ammette che «negli ultimi due anni mi sono vista molto invecchiata») fino alla più recente malattia.Charlotte la osserva, la studia, la analizza nei dettagli attraverso le riprese e le foto che le scatta e che impietosamente rivelano rughe e macchie della pelle, la incalza con domande e ricordi che via via affiorano. Vita e morte si mescolano in questo prezioso lavoro che da familiare si fa universale. Jane fa continuamente riferimento al fatto che toccherà a chi resta buttare gli oggetti da lei accumulati nel corso del tempo e, inevitabilmente, aleggia la presenza di chi non c’è più. Vere e proprie presenze fantasmatiche le cui immagini di tempi felici scorrono su un lenzuolo o sono immortale nelle numerose foto che si vedono in giro: Kate («È una grande fortuna avere figlie che tornino», frase in cui esplode il dolore della madre per la figlia che invece non tornerà più) e naturalmente Serge Gainsbourg, il grande assente sempre molto presente.

 

 

«Ho sempre avuto l’impressione che potesse tornare», dice Charlotte tornando per la prima volta con la madre nella casa di rue de Verneuil 5, a Parigi, dove Serge ha abitato fino al giorno della sua morte nel 1991. Qui il tempo sembra essersi fermato: tutto è come allora, nulla è stato toccato, dal cibo in scatola che sta per esplodere a quello ancora conservato nel frigorifero, dai mobili ai libri, fino all’arazzo con le scene di tortura che tanto inquietava Charlotte bambina sottolineando questo côté voyeur che «sicuramente gli sarebbe piaciuto»: un ritorno alle origini che Charlotte sta pensando di condividere, aprendo la casa-museo ai visitatori. Un’apertura agli altri, che la madre considera molto positiva perché «potrebbe rappresentare la fine di qualcosa». Alla fine, mentre guardiamo Jane camminare sulla spiaggia e poi stringersi in un abbraccio con Charlotte, quest’ultima in voce off sussurra: «Ti amo da sempre, ma lo capisco bene solo oggi. Avrei bisogno che tu mi insegnassi a vivere, che tu me lo reinsegnassi come se non avessi capito, come se fosse solo una prova». Jane par Charlotte non poteva che chiudersi con questa bellissima dichiarazione d’amore.