La fuggevole malinconia di Falcon Lake di Charlotte Le Bon

Debutto alla regia di Charlotte Le Bon, già attrice per registi come Michel Gondry. Lasse Halström e Jalil Lespert, presentato in concorso allo scorso Torino Film Festival (e prima a Cannes), Falcon Lake (distribuito da Movies Inspired) è ispirato alla graphic novel Une sœur di Bastien Vivès (pubblicata in Italia da Bao Publishing). Un cottage di legno abbastanza isolato, un lago circondato dai boschi delle regioni delle Laurentides, in Quebec, a nord-ovest di Montreal, una vacanza spensierata di due famiglie, tra cui gli adolescenti Chloé, 16 anni, e Bastien, quasi 14, inconsapevolmente attratti dal mistero della vita, dai turbamenti della loro età e da desideri ancora da comprendere. Fin dall’inizio, però, una strana cupezza aleggia su questi luoghi. Le notti nere e l’acqua scura del lago conferiscono al film un tono inquietante. Charlotte Le Bon flirta con l’horror maneggiando con cura tutti gli elementi del coming of age, ma senza mai trasformarli in clichés, anzi, lavorando con la sospensione e la rarefazione. Leggenda vuole che il lago sia infestato dai fantasmi, dicono che qualcuno vi sia affogato e che torni ancora e ancora su quel luogo a cui è legato da indissolubili ricordi. Un piccolo dettaglio per trasformare la morte in un gioco avventuroso, prima ancora che in un segno premonitore, una sorta di ossessione di Chloé che ne parla, si finge cadavere, fantasma o spettro, destabilizzando Bastien, ma anche sdrammatizzando fatalmente le sue paure.

 

 


Falcon Lake
è un film sorprendentemente ambiguo, capace di giocare con intelligenza con lo spettatore, spingendolo in vicoli ciechi, caricando di tensione semplici passeggiate tra gli alberi, trasformando i silenzi in messaggi. Più aumenta la complicità tra i due protagonisti, più l’oscurità avvolge questo film irrequieto ed enigmatico. Interpretando perfettamente gli umori della graphic novel cui si ispira, Le Bon riesce a fermare il tempo sfuggente di fine estate, quando le giornate si accorciano e la luce cambia le tonalità del cielo e degli alberi (anche quello alto e secco che sembra dominare l’intera storia), fino a riflettersi sugli umori di chi ha i sensi accesi, in un andirivieni di emozioni che gonfiano il petto. A ben guardare, non c’è mai nulla di definito o definitivo in questo film, fatto di continue interruzioni e di azioni e scene che non finiscono. Intanto i tramonti si succedono veloci e le giornate cambiano per sempre le vite e i pensieri dei loro personaggi. “Ci sono fantasmi che non sanno di essere morti. Vivono tra noi ma non possono comunicare con nessuno” dice lei andando ad una festa dove i ragazzi presenti sono diversi da questi due giovani incapaci della spensieratezza che tanto cercano di fingere, ma che sanno mordersi la mano fino a sanguinare, perché il tumulto interiore possa avere finalmente forma e dolore. Tutto sembra imprevisto o improvvisato nell’estate di Chloé e Bastien, e tutto è raccontato in modo fisico, anche grazie alla scelta del formato e del 16mm, che imprimono alle immagini un senso materico che fa da contrasto alla fuggevole malinconia di questa storia.