La maman, la putain e la Nouvelle vague

Quando La maman et la putain uscì nelle sale cinematografiche francesi nel 1973 non fu accolto positivamente dalla maggior parte della critica di allora. Nonostante il Gran Premio al Festival di Cannes, è noto il disprezzo che Ingrid Bergman, allora presidente di giuria, espresse nei confronti del film che, oggi, a cinquant’anni di distanza, è diventato, però, un vero e proprio punto di riferimento per registi e cinefili. Virtù di un film che ha saputo interpretare i suoi tempi con sguardo così spudorato e veggente da spiazzare il pubblico del tempo, mettendolo di fronte agli inequivocabili conflitti della società post-sessantottina. Per questo, a cinquant’anni dall’uscita è un film che si presenta ai nuovi e vecchi spettatori (esce in una versione fiammeggiante di recente restauro) con la sua impressionante lucidità, che fa dire ad un regista come Olivier Assayas: “Ho l’impressione di convivere con questo film da quando esiste. Mi pongo, come molte persone nel cinema, la questione di sapere come possiamo fare qualcosa di nuovo, come possiamo ottenere ciò che Eustache ha ottenuto. Penso che la risposta sia che non possiamo. Eustache, in questo film, ha riassunto e realizzato un’idea che era quella della Nouvelle vague. Ha realizzato il film che era stato teorizzato dalla Nouvelle vague”.

 

 

Alexandre (Jean-Pierre Léaud) è appena stato lasciato dalla donna che ama. Non ha un lavoro e ne va fiero, preferisce passare il tempo bighellonando per i caffè di Saint-Germain-de-Prés discutendo con gli amici. Vive a casa di Marie, che ha una piccola boutique, con la quale ha una relazione “aperta”. Un giorno incontra l’infermiera Véronika, e con lei instaura una relazione che innesca una sorta di cortocircuito nella vita dei tre protagonisti, un complicato ménage à trois, passa dalla tenerezza alla gelosia alla disperazione. Il film è direttamente ispirato alla vita reale di Jean Eustache, la sua rottura con l’attrice Françoise Lebrun, che qui interpreta il ruolo di Veronika (ma che sarà l’interprete anche di Une sale histoire), la sua vita con la costumista Catherine Garnier e il suo amore per Marinka Matuszewski. “È l’unico dei miei film in cui il passato non ha un ruolo. Corrispondeva alla mia vita nel momento stesso in cui stavo girando, e si intersecava con essa in modo talvolta tragico”, disse Eustache, che, infatti, crea un’opera immobile nel presente, o meglio, incastrata in un tempo da cui il protagonista non riesce/non vuole uscire. Sta in questo la tragicità di La maman et la putain, nella caparbia messa in scena della disillusione di una generazione (forse) che non trovava alcuna ricaduta nella realtà quotidiana degli slogan inneggianti la libertà e  il superamento del modello borghese. Eustache, tuttavia, non racconta la vita di un giovane incapace di vivere, ma del vuoto che in lui hanno lasciato le parole. Prolisso, erudito ed esibizionista, Alexandre non sarà mai in grado di agire, ma solo di parlare, fino ad uno sfinimento inevitabile e individualista, fino all’annullamento.