La nave, il mostro e il mondo: Demeter – Il risveglio di Dracula, di André Ovredal

Il risveglio del titolo non riguarda soltanto il re dei vampiri, ma pure l’intero progetto di portare al cinema il racconto della traversata marina di Dracula dalla Transilvania a Londra, cui Bram Stoker dedicava un capitolo del suo più celebre romanzo. I primi tentativi della produzione datano infatti all’inizio del millennio, salvo poi incorrere in vie traverse non meno impervie di quelle affrontate dall’equipaggio del Demeter. Alla fine, il film arriva nelle sale nell’anno di grazia 2023, complice André Ovredal, del cui interessamento non fatichiamo a capire le ragioni. Il regista norvegese, infatti, si è ormai specializzato in un cinema di archetipi, siano essi le creature boschive del folklore natio (Troll Hunter), le streghe (Autopsy), gli dei norreni (Mortal) o le leggende metropolitane (Scary Stories to Tell in the Dark). Ma, ancor più, l’autore è evidentemente attratto dall’irruzione di un elemento fantastico in un contesto realistico, che permette un confronto aspro tra le armi della logica e quelle dell’irrazionale. Le prime sono qui incarnate da Clemens, dottore senza lavoro e alla ricerca della sua occasione sulla nave. Di fronte alla pestilenza che colpisce l’equipaggio, l’uomo cerca infatti di mettere in pratica non solo quanto ha imparato sui libri, ma anche la tenacia propria di chi è sempre stato osteggiato come “diverso” (per il colore della pelle) e ha pertanto sviluppato la tendenza a non darla vinta facilmente ai nemici.

 

 

Il sangue è per questo terreno di scontro privilegiato, veicolo della malattia, ma anche nutrimento della bestia e linfa vitale che Clemens con generosità (anche eccessiva per la logica sopracitata…) dona in forma di trasfusioni a Anna, la prima vittima del male. Il racconto si fa in questo modo presa di coscienza dell’impossibilità del raziocinio di scendere a patti con un male autentico, perché tanto primigenio quanto assoluto, non negoziabile e continuamente in grado di rigenerarsi. In tal senso, Ovredal recupera la cifra più animalesca del Nosferatu, complice la possibilità di potersi affidare a un maestro della make up performance come Javier Botet. Il “suo” Dracula è una minaccia insinuante che tiene insieme la mostruosità di un Max Schreck, l’imprevedibilità repentina di Alien e una certa vulnerabilità che si esprime in alcuni passaggi sottocoperta, quando la creatura è rannicchiata negli angoli in attesa di riguadagnare le forze per esprimere la sua piena potenza. Svelato progressivamente, il vampiro mostra una capacità metamorfica continua, che va di pari passo con il suo passaggio dalla stiva al cielo. Meritoriamente, il film gli offre il giusto spazio, evitando il più possibile i salti sulla sedia, in favore di atmosfere opprimenti e un abile lavoro sugli spazi, che determinano un mondo labirintico, dove tanto la pancia della nave, quanto l’orizzonte oscurato dalle nubi, giocano a meraviglia la loro parte.

 

 

In questo modo, il film riesce a onorare la ricetta classica del perfetto monster-movie, attraverso un body count che non tiene conto nemmeno dei tabù stabiliti dalla modernità (non si preoccupa, ad esempio, di far morire tanto il cane quanto il bambino di bordo, categorie notoriamente “protette” dalla morale cinematografica corrente). Allo stesso tempo, però, Demeter cerca di stare nel momento storico attuale, attraverso il racconto di un protagonista outsider che, nel confronto serrato con l’irrazionale, si faccia icona di riflessione sulle diseguaglianze del mondo presente. Un po’ Ismaele di Moby Dick, insomma, un po’ icona da moderna morale inclusiva, Clemens è il collante fra più mondi, all’interno di una struttura che cerca di farsi trasposizione del soggetto stokeriano e al contempo sua evoluzione, data da un finale che apre a possibili (e inedite) prosecuzioni. Non tutto funziona nel precario equilibrio delle parti, il gustoso classicismo dei dialoghi spesso confligge con questa modernità esibita dei personaggi, ma nel complesso il viaggio si rivela degno di nota.