La norma dei segreti: Sofia di Meryem Benm’Barek

È costruito come un contenitore di segreti, Sofia, un dramma familiare e sociale allo stesso tempo, in cui tutto ciò che dovrebbe essere più visibile è in realtà nascosto: c’è una ragazza incinta la cui gravidanza è negata dal suo stesso corpo, rimossa dalla sua coscienza per un meccanismo di autodifesa che, in un paese come il Marocco, dove le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio sono punite per legge, la preserva sino all’ultimo dalla vergogna familiare e dal castigo sociale. E c’è una famiglia che, per salvare il buon nome, nasconde il parto illegittimo e organizza un matrimonio riparatore con il presunto padre, un giovane di estrazione sociale più bassa. La stratificazione dei segreti corrisponde alla stratificazione delle rivelazioni cui l’esordiente regista marocchina Meryem Benm’Barek sottopone i suoi personaggi: per ogni confessione c’è una negazione, per ogni rimozione c’è un’epifania, in un meccanismo che equilibra il dramma su una stasi sociale che corrisponde alla netta separazione tra le classi che segna la realtà marocchina.La protagonista, Sofia (interpretata dall’esordiente Maha Alemi, notevole per l’equilibrio tra innocenza e determinazione), è espressione di una famiglia della casse media in bilico tra promozione e vergogna sociale.

La colpa di cui è inconsapevole portatrice è il detonatore di un meccanismo che forza ogni elemento di questo dramma e lo costringe a confrontarsi con una realtà dinamica nonostante tutto, con cambiamenti che impongono un livellamento in grado di azzerare ogni progresso. La gravidanza, ignorata dalla stessa Sofia, e il parto, nascosto (d)ai familiari, implodono nel cuore della famiglia e richiedono un meccanismo di ricostruzione dell’ordine. Che passa attraverso i buoni uffici delle autorità (il poliziotto corrotto), tanto quanto attraverso i meccanismi riparatori delle famiglie. Il giovane Omar costretto ad accettare paternità e matrimonio in cambio di un lavoro, è il capro espiatorio che mette sul piatto la propria innocenza, trasformandosi in un automa privo di sentimenti. Di fronte a lui c’è Sofia, che subisce e genera tutte le colpe pur nella sua innocenza, espressione di una femminilità che fa leva sulla propria sottomissione (familiare e sociale) per esercitare la sua libertà secondo le regole della menzogna, dell’ipocrisia e dell’ordine prestabilito, cui la sua identità è portata a soggiacere. In una Casablanca che in un certo senso potrebbe essere Metropolis, stratificata socialmente anche a livello urbanistico, con i quartieri alti della città contrapposti al quartiere popolare di Derb Sultan da cui proviene Omar, Meryem Benm’Barek fa di Sofia una presenza in sé sdoppiata, che oppone l’innocenza e lo smarrimento della prima parte alla freddezza della seconda, come fosse allo stesso tempo la Maria reale e quella robotica del capolavoro langhiano… A fronte di tutto questo c’è la presenza ad un tempo interna ed esterna di Leila, la cugina di Sofia, che (come la regista) è tornata a Casablanca dopo aver studiato all’estero e porta in sé i segni di una visione della realtà differente e impossibile, ingenua nella sua illusione di imporre la verità tanto quanto sincera nella sua determinazione ad aiutare tutti. Sofia, che al Certain Regad di Cannes ha giustamente visto premiata la sceneggiatura, è un film che trova i suoi picchi proprio nella capacità della regista di soffocare ogni punta drammatica sotto la cenere di una messa in scena piana e regolare, eppure estremamente accorta e profondamente vibrante. Basti considerare il controllo della configurazione scenica che la regista applica alle tre scene chiave del film (il pranzo iniziale, l’incontro tra le famiglie a casa di Omar e il redde rationem finale sulla terrazza) per capire come questa giovane regista ha saputo equilibrare le forze drammatiche in campo in una rappresentazione polarizzata sull’equivoco dello status quo. Sullo sfondo resta, emblematica nella sua inanità, la figura del padre di Sofia, affidata dalla regista alla presenza significativa di Faouzi Bensaidi, ancora stretto alla sedia del maestro del suo indimenticato Mille mois