La verità e l’avventura: di nuovo al cinema Lupin III – Il castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki

Poteva sembrare una scelta obbligata, affidare a Hayao Miyazaki la regia di Lupin III – Il castello di Cagliostro, il secondo lungometraggio cinematografico del celebre ladro giapponese:: dopotutto, il futuro autore di Nausicaa aveva già diretto la gran parte della serie televisiva con cui il personaggio aveva debuttato sugli schermi giapponesi nel 1971. I produttori, invece, avevano pensato al suo collega e mentore Yasuo Otsuka, che però preferì i ruoli di character design e direttore dell’animazione, contattando personalmente il giovane Hayao per la sedia principale. Per fortuna il nostro non ci stette a pensare troppo e, lasciata la serie di Anna dai capelli rossi (dove curava i layout), si gettò a capofitto nell’impresa, sobbarcandosi un carico enorme di lavoro, dati i tempi molto stretti della lavorazione: circa sette mesi fino all’uscita fissata al dicembre 1979, imparagonabili ai sette anni che ci sono voluti per Il ragazzo e l’airone, tanto per dare qualche proporzione. Di certo il film permise a Miyazaki di portare a compimento un’idea di racconto che a quel punto era già tutta in nuce nei progetti televisivi a cui si dedicava da un po’: in Cagliostro c’è infatti sicuramente il “suo” Lupin televisivo, addolcito nei toni e nei modi rispetto all’originale cartaceo e a quello di Masaaki Osumi, che della serie aveva diretto le prime puntate più noir e audaci. Ma c’è anche l’omaggio all’Arsenio Lupin originale di Maurice Leblanc, che nel 1924 aveva scritto La contessa di Cagliostro (da cui proviene l’idea per il personaggio di Clarisse).

 

 
E soprattutto c’è il Conan televisivo, primo grande exploit del Miyazaki regista seriale, che rivediamo in filigrana quando Lupin corre sui tetti del castello eponimo, come il ragazzo del futuro faceva sulle torri di Indastria. Non stupisce a questo proposito come il gioco di maschere da sempre centrale nell’universo di Lupin III diventi una perfetta cartina di tornasole per questo rimescolamento di suggestioni preesistenti, che Miyazaki riesce a rendere però materia viva grazie a caratterizzazioni felici e a quel magistrale senso del ritmo che oggi gli riconosciamo, con cui momenti più contemplativi si alternano a frenetiche accelerazioni d’azione. Lo spazio scenico diventa così un enorme meccanismo da svelare, fra botole che si aprono all’improvviso, cascate e fontane che diventano possibili canali da percorrere per superare di nascosto le guardie, fossati che rivelano storie passate (e cadaveri che costituiscono tanto un macabro ornamento, quanto una possibilità per ingannare i nemici) e il grande orologio è lo scenario perfetto per il gran finale, come farà tanti anni dopo Basil l’investigatopo della Disney – e a questo proposito risulta davvero solleticante vedere nel pericoloso maniero di Cagliostro una “risposta” tutta miyazakiana a quelli incantevoli e salvifici delle Cenerentole o Biancaneve.

 

 
Su questa trama, l’autore di Porco Rosso imbastisce un gioco di pedinamenti e inganni, in cui le alleanze si rimescolano: i sodali Jigen e Goemon passano la maggior parte del tempo in attesa del da farsi, mentre ad aiutare Lupin c’è insospettabilmente l’Ispettore Zenigata e una mano la dà anche Fujiko, che un po’ resta sulle sue per cedere lo spazio a Clarisse – la quale è a sua volta tanto la damigella in pericolo, quanto il personaggio fulcro per sbrogliare tutto l’intrigo ordito dal malvagio Conte di Cagliostro. Se il divertimento immediato dell’avventura è lampante e l’animazione curatissima regge bene il passare del tempo (nonostante i ritmi di lavorazione frenetici e qualche taglio di scena imposto dalla serrata tabella di marcia), il ritratto generale è comunque alquanto cupo, con le forze destabilizzanti del mondo che sfoggiano titoli nobiliari mentre i governi esteri stanno a guardare, prigionieri dei loro legacci burocratici. Il personaggio più autentico non può dunque che essere il re degli inganni, il ladro gentiluomo che non ostenta mai paura verso le minacce altrui, padroneggia travestimenti e trucchi nascosti fra i vestiti, mentre il Conte può essere messo nell’angolo da Zenigata solo ordendo un piano che agisce fra le pieghe del legale (e avvalendosi della televisione persino!).

 

 
In un simile scenario, l’antagonista non riesce ad averla vinta nemmeno una volta, mentre Lupin si muove da vedetta consumata, mago sul suo castello errante a forma di Fiat 500, conquistando cuori e imbastendo sempre nuovi giochi di prestigio, corpo “leggero” che nuota controcorrente, non viene schiacciato dagli ingranaggi, salta sui tetti e manovra idrovolanti con scioltezza. A lui Miyazaki affida il primo tassello del suo regno animato mentre ancora non soffia il vento del Ghibli e il risultato diventa subito un classico dell’animazione, a carburazione lenta ma inesorabile come era stata la stessa serie tv. I primi responsi furono infatti inferiori al precedente lungometraggio La pietra della saggezza, salvo farlo passare poi alla storia come il miglior film cinematografico dedicato al ladro. Una sorte condivisa anche in Italia, dove inizialmente la pellicola si vide solo in televisione, per poi restare confinata al mercato dell’home video: sorte poi mutata al giro di boa del millennio, quando il film è stato ridoppiato con le voci “storiche” di Roberto Del Giudice (indimenticabile!) e Sandro Pellegrini e ora riproposto una seconda volta in sala con restauro 4K. E chissà cosa riserverà il futuro, Il castello di Cagliostro come Lupin sembra avere ancora tante vite da vivere e verità da raccontare.