La vertigine del racconto: La donna del fiume – Suzhou River di Lou Ye

“Se ti lasciassi mi cercheresti ovunque come ha fatto Mardar?” chiede Mei Mei al suo amante, sapendo già che sarebbe impossibile. Ecco, La donna del fiume, uscito in Italia grazie a Wanted Cinema, è un film sulla vertigine dell’affabulazione in cui si dispongono due storie che si intrecciano e si sciolgono e dove il narratore è anche soggetto stesso della narrazione, oltre che sguardo. Un giovane fotografo racconta in prima persona la sua storia d’amore con Mei Mei, bellissima ballerina-sirena in un night lungo le rive del fiume Suzhou. Il fiume è luogo centrale e prezioso perché offre le due prospettive: quella mobile della città (o meglio, i sobborghi di Shanghai) vista dalle imbarcazioni, e quella del fiume visto dalle sue sponde. Nel mezzo il fervore della vita quotidiana, la gente, le relazioni, le barche. Tutto inizia all’insegna di uno sguardo nouvelle vague, flagrante e luminoso. L’osservazione partecipe, il sole, i palazzi fatiscenti, in via di demolizione e quelli nuovi e imponenti, la città che cambia, le ciminiere, il passato e il presente nello stesso luogo, le chiatte e i panni stesi. “Mi piace portare la macchina fotografica al fiume Suzhou e lasciarmi trasportare da est a ovest” dice il protagonista che attraversa un secolo di storie, incontra gli sguardi della gente dai ponti gremiti. “Se li guardi, il fiume ti mostrerà tutto di loro, ti farà vedere la gente che lavora, ti mostrerà l’amicizia, l’amore, la famiglia e la solitudine”. Tra i volti di queste persone si accende il doppio melodramma che ruota tutto attorno alla sirena dei capelli biondi dell’Happy Tavern e all’illusione di un doppio.

 

 

Mei Mei, infatti, è identica a Moudan, che si è gettata nel fiume trasformandosi in sirena, secondo una leggenda nota ormai a tutti lungo quelle acque. Figlia di un trafficante di vodka, Moudan, si era innamorata di Mardar, corriere e piccolo truffatore che non aveva esitato a rapire la ragazza per chiedere un riscatto. Liberata, Moudan si getta nel fiume e sparisce, ma Mardar è accusato di omicidio e incarcerato. Al suo ritorno in libertà torna al fiume, dedicandosi alla ricerca della giovane che non ha mai potuto dimenticare. La riconosce nella sirena Mei Mei, innescando un incrocio di storie tanto pericoloso quanto misterioso, sempre nel solco di una verità che è anche invenzione, frutto della fantasia e dell’ossessione, eppure, al tempo stesso, tangibile. Il vero e il falso, dunque, percorrono la stessa storia e si sviluppano in un intreccio narrativo affascinante e vertiginoso. “Pensavo fosse solo una storia. Non pensavo che Moudan esistesse realmente” dice Mei Mei sconvolta dopo aver visto il corpo della ragazza privo di vita accanto a quello di Mardar. “Se un giorno ti lasciassi, mi cercheresti come ha fatto Mardar?” chiede di nuovo al suo amante, che annuisce. “Stai mentendo. Cose come quella… capitano solo nelle favole” risponde lei guardando in camera. Melodramma, si diceva, che ha dovuto attendere più di vent’anni per arrivare sugli schermi italiani. Realizzato nel 2000 da uno dei più sensibili e anticonvenzionali registi cinesi della sesta generazione, il film non piacque al governo centrale di Pechino e per questo a Lou Ye fu vietato di lavorare per i successivi due anni. Prodotto in maniera indipendente, grazie a stratagemmi ed espedienti di diversa natura, a partire dal sostegno di un fabbricante di birra, che mise a disposizione i primi fondi, e di quello di alcuni amici cineasti e di festival internazionali che ne resero possibile il completamento. Il restauro in 4K è stato eseguito a partire dal negativo originale in 16 millimetri.