Labyrinth of Cinema: al Far East on line il film-testamento di Nobuhiko Obayashi

Scomparso lo scorso aprile, Nobuhiko Obayashi lascia dietro di sé una filmografia corposa di 44 titoli e una totale indipendenza stilistica e commerciale, che lo aggrega al novero dei grandi outsider e “sabotatori” del cinema giapponese: al pari di un Seijun Suzuki, infatti, la grandezza di Obayashi sta nel modo in cui sovvertiva i codici della narrazione tradizionale esaltandone le possibilità stilistiche e le invenzioni, restando comunque un passo al di qua delle derive totalmente sperimentali. Un cinema insomma “popolare” che lavorava la materia dall’interno, come testimonia il suo celebre esordio, l’horror del 1977 House (inedito in Italia e disponibile in Blu-Ray import per Eureka Video) dove il classico racconto di case maledette e stregoneria si apriva a situazioni grottesche e surreali sulla traccia fornita da continue manipolazioni dell’immagine. L’ultimo Labyrinth of Cinema, fra le anteprime più attese dell’ultimo Far East Film Festival (manifestazione che aveva già conferito al regista un premio alla carriera nel 2016), si presenta quindi nella forma del film-testamento, con una durata monstre di tre ore e una vicenda bizzarramente complessa che nelle sue linee guida conferma l’amore per l’invenzione cinematografica: è l’ultimo giorno di proiezione del Setouchi Kinema e, in una sala gremita di gente, viene allestita una proiezione continua di film che raccontano la storia del Giappone in guerra lungo i secoli, dall’era feudale allo sgancio della bomba su Hiroshima. In particolare, sono quattro ragazzi, il cinefilo Mario, il precisino Hosuke che appunta ogni cosa, il figlio di un monaco e aspirante yakuza Shigeru e la giovane Noriko che arriva da lontano a ritrovarsi inaspettatamente a “vivere” le storie sullo schermo mentre restano anche comodamente seduti in sala. Partendo dall’assunto che il cinema è l’unica “macchina del tempo” che l’umanità ha costruito per poter confrontarsi con la sua storia, Obayashi realizza così un film di doppi, che moltiplica continuamente i suoi toni attraverso i vari film che mette in scena e le situazioni storiche in cui intervengono celebri personalità del grande schermo costruendo significative opposizioni: per un John Ford (interpretato dallo stesso Obayashi) che filma documentari durante la Seconda guerra mondiale, abbiamo quindi un Yasujiro Ozu afflitto da incertezza e inquietudine per il film di propaganda che le autorità gli hanno chiesto di preparare.

 

 

L’intento dichiarato è mettere lo spettatore di fronte alle atrocità commesse dal paese e ai sacrifici sopportati in nome di una pace che ancora fatica a essere considerata un valore assoluto. La salvezza che i ragazzi inseguono (e il mistero sulla vera identità di Noriko, che si scoprirà nel finale) si trasfigura quindi in un viaggio di consapevolezza storica, umana e artistica, particolarmente evidente nel vano tentativo di salvare la Compagnia Sakura, gruppo di teatranti in cui milita il celebre attore Sadao Maruyama, che sarà purtroppo vittima del bombardamento di Hiroshima. Accanto all’intento puramente “didattico” che contribuisce a fare luce su pagine poco note della cinematografia nipponica (sebbene il materiale sia interamente ricostruito e non di repertorio), Labyrinth of Cinema si offre con la stessa pulsione anarcoide delle più classiche opere di Obayashi: un caleidoscopio di situazioni elaborate in ogni inquadratura, tra dissolvenze, variazioni di formato e effetti artigianali utili a descrivere tanto le gag del muto quanto le derive nella fantascienza (con tanto di personalissima rielaborazione del finale di 2001). Un viaggio tra epoche e stili, dove i personaggi possono essere contemporaneamente coinvolti tanto in momenti di umorismo escatologico quanto in sequenze drammatiche sulla violenza dei soldati. L’esito è così a tratti grottesco, in altri casi profondamente lirico, sempre finalizzato a imbastire un’autentica esperienza della visione. Mescolando caratteristiche tipiche della cinematografia giapponese classica e del cinema americano, il regista compone la sua idea di “film totale”, monumento all’arte che più ama per la sua capacità di aprire orizzonti stilistici e provocare l’altrimenti passivo ruolo dello spettatore. Il tutto è ancora una volta inserito in una tipologia di narrazione che, sebbene condizionata dall’isteria di una progressione incontenibile, segue in ogni caso una parabola alquanto classica, con una prima parte più divertita e una seconda più cupa e partecipata nella descrizione delle ferite aperte della storia giapponese. A fare da commento intervengono così i versi del poeta Chuya Nakahara, che descrivono proprio la follia della guerra e la frustrazione per un incedere della Storia apparentemente refrattario a ogni miglioria, dove il progresso non fa che acuire l’imbarbarimento. L’entusiasmo contagioso di Obayashi riesce in questo modo a ricomprendere anche la consapevolezza di quanto gravoso sia il compito inseguito da questa sua ultima opera, realizzata sul finire della vita eppure così piena di energia.

 

 

Guarda il film (sino al 4 luglio)

https://www.mymovies.it/live/feff/movie/labyrinth-of-cinema/