L’adolescenza politica in I pionieri di Luca Scivoletto

Tratto dall’omonimo suo romanzo, il film del siciliano Scivoletto si fonda soprattutto sul già più volte visitato tema del racconto di formazione, attingendo a un certo ironico atteggiamento che appartiene di natura al senso di una sicilianità che traduce nell’austerità dell’ironia una propria concezione del mondo. Così come faceva il Montalbano, scritto e televisivo, di Camilleri, così come ha ereditato anche Pif nel suo proporsi in televisione e al cinema e così come accade in una vasta e ricca letteratura che, da Verga a Pirandello, da Brancati a Piazzese, sa raccontare quel senso di malessere, ma filtrato da una beffarda accettazione della condizione della vita, che riversa nel motto di spirito o nell’iperbole della battuta una complessiva visione del mondo e delle cose che gli appartengono, manifestando una superiorità tutta umana davanti a ciò che è imponderabile.

Ma poiché non tutto passa invano, I pionieri fa riferimento anche a quel cinema più adulto che ha saputo fare leva sulla mutazione della crescita per raccontare il passaggio a un’età adulta, il naufragare di alcune illusioni, ma anche la capacità di raccontare le nuove e affascinanti consapevolezze che appartengono al proprio futuro. In altre parole il punto di chiaro riferimento del film è l’immancabile, in occasioni del genere, Stand by Me (Rob Reiner) che a suo modo diventa la summa di ogni coming of age nella magnifica linea mediana che corre in quella storia, tra paura e piacere, tra passato e futuro, stretta ma lineare come la linea ferrata che i suoi protagonisti seguono per raggiungere la meta.

 

 

Anche nella profonda Sicilia del ragusano, intorno alla fine degli anni ’70, il Partito Comunista lasciava il testimone a una sinistra riformista con Occhetto a capo. Il locale segretario del partito Michele Belfiore (Peppino Mazzotta), con aspirazioni a diventare segretario regionale, deve fare fronte alle lamentele della moglie Luisa (Lorenza Indovina) che lo accusa di essere assente nei confronti dell’adolescente figlio Enrico, così chiamato come lo storico Segretario del Partito. Enrico, a causa della famiglia comunista vive un isolamento a scuola. Il suo unico amico è Renato, 12 anni, che vive con la madre vedova, porta i capelli come Gramsci, rifugge il consumismo e ha una relazione con una ragazza russa che si chiama Ljuba. I due – accompagnati occasionalmente da Vittorio Romano, bullo della scuola e figlio del destrorso Gulino (Maurizio Bologna), storico avversario di Belfiore (siamo dalle parti del De Santis di Cetto Laqualunque) – con l’intenzione di rifondare il corpo scoutistico comunista dei Pionieri fuggono tra i boschi per un campeggio. Conosceranno Margherita, figlia di due americani della locale base militare. Da quella fuga impareranno molto. Enrico, mentre molte cose cambiano in Italia sia nella sua famiglia, sia nel comunismo, conterà i giorni al Natale per rivedere Margherita.

 

 

I pionieri coglie con salace attenzione di scrittura molti dei caratteri di quella sicilianità di cui si diceva ed è questo sicuramente uno dei tratti più interessanti del film, che ha dichiaratamente l’umiltà di volere descrivere solo un microspaccato di un’epoca, un racconto minimo di un’adolescenza che ha il sapore di una tranquillità perduta in un dialogo difficile, ma non impossibile con i genitori, che a loro volta, rigidamente ancorati a una ideologia progressista, con difficoltà sanno mettere in pratica quelle idee quando si tratta di regolare le questioni familiari. Poi c’è l’adolescenza di Enrico i cui timori adolescenziali sono aggravati da quel comunismo onnipresente che strozza i suoi desideri consumistici e lo fa sentire diverso. Ma è la sua coscienza politica che lo richiama al dovere materializzandosi in un Berlinguer (Claudio Bigagli) che parla in modo complicato in un’ottica progettuale di lunga durata.

Ma tutto, come si diceva, sa essere legato in questo piccolo, ma piacevole film da una visione della vita bonaria e accattivante, così come il personaggio del Capitano dei Carabinieri, interpretato da un non dimenticato Roberto Nobile che in queste narrazioni siciliane ha sempre saputo restituire quel senso di ironica accettazione di ogni contrarietà. Per tutto questo si sorvola su ogni altra questione, così come accade in altre occasioni in cui lo spettacolo televisivo o del cinema offre una visione non compromessa da alcuna piaga sociale di luoghi e condizioni dove invece molte si annidano. Anche in questo caso l’ambientazione di un sud profondo sa diventare il migliore posto della terra per viverci, dove tutto si accomoda e tutto fluisce in un ritmo naturale senza dolore e senza complicazioni. A noi spettatori non resta che crederci e lasciarci andare al ritmo di questa storia, dove perfino la bandiera con la falce e martello avrà per qualche istante la meglio sul glorioso esercito americano.