Cinema di affetti più che di effetti, senza dubbio quello di Dresen è cinema che riesce a smarcarsi dalle convenzione per la capacità di mostrare la gratuità, che è l’evidenza di cui i sentimenti si nutrono. Consapevole del rischio a cui si espone, è cinema pure intelligente nell’evitare le trappole della retorica stucchevole, essendo molto concreto e materico, aprendosi a dimensioni sospese dalla chiara impronta melodrammatica. Spesso, come in questo caso, è cinema che indaga l’eroismo osservandone aspetti insoliti e nascosti, poco prevedibili nonostante, spesso, ispirati alla Storia. Inoltre, è cinema che sembra assumere una posizione di riguardo nei confronti di chi, a partire dalla lotta quotidiana, conduce la propria esistenza con tenacia e perseveranza, contribuendo a un bene che non è mai fine a sé stesso. Per questo è così efficace nell’intercettare quel senso di inadeguatezza che si percepisce di fronte alla maestosità della Storia che inevitabilmente porta a sentirsi piccoli, inermi, patetici e un pizzico ingenui. Ecco quindi che il cinema di Dresen si discosta da questa concezione e osserva l’eroismo da uno spioncino defilato in grado di restituire una versione, se non nuova, comunque credibile e piena di umanità, sempre connessa al presente. Presentato in Concorso a Berlino 74, In Liebe, Eure Hilde, distribuito con il titolo internazionale From Hilde, with love e tradotto in italiano con il più evocativo ma meno pregnante Berlino, estate ’42, è il suo dodicesimo lungometraggio e conferma l’abitudine del regista tedesco a coniugare nel proprio cinema elementi contrastanti tesi all’emersione di un profondo vissuto in grado di rivelare il telaio di una società tedesca rappresentata in divenire, al vaglio delle trasformazioni culturali, tenendo lontani schemi e cliché (si rivedano Gundermann e As We Were Dreaming ma anche i più celebri e in un certo senso popolari Catastrofi d’amore, Orso d’argento a Berlino nel 2001, e Settimo cielo) pur rispettandone le radici e l’identità.
È una vicenda ambientata in un passato che racconta il nostro presente. E come questo anche il precedente Una mamma contro G. W. Bush – ispiratosi alla vicenda di Rabiye Kurnaz, tedesca di Brema, origine turca, moglie, mamma di tre figli, alle prese con l’odissea di Murat, il figlio maggiore, accusato di terrorismo e imprigionato a Guantanamo nel 2001 a poche settimane dagli attentati dell’11 settembre – era un film improntato sull’eroismo particolare di una donna tenace e coraggiosa, figura christi per nulla ingenua. E tanto la signora Kurnaz iniziava una lotta impari sostenuta dalla sua contagiosa umanità per liberarsi dall’ingiustizia, quanto Hilde Coppi assume la responsabilità di condurre silenziosamente la propria lotta resistente contro il nazismo. Davide contro Golia, sempre e comunque, questa volta, sembra ribadire senza nascondere un filo di malinconica rassegnazione. Berlino, Estate ’42 è uno dei rari esempi in cui si mette in scena una vicenda legata alla resistenza tedesca. Seguendo il solco tracciato dal celebre La Rosa Bianca – Sophie Scholl (Sophie Scholl – Die letzten Tage) che nel 2005 valse a Marc Rothemund l’Orso d’argento, il film di Dresen racconta la storia d’amore tra Hilde e Hans Coppi, giovani eroi della resistenza antinazista. L’estate del 1942 è il luogo temporale in cui tutto accade e tutto cambia: Hilde conosce e sposa Hans da cui aspetta un bambino ma viene arrestata e giustiziata perché legata al movimento clandestino dell’Orchestra Rossa di cui Hans fa parte. Catturata dalla Gestapo, Hilde partorisce suo figlio in carcere, ma sarà quest’ultimo a darle la forza di continuare a resistere nei momenti più bui.
La voce del figlio nel finale è il testimone da raccogliere, senza troppi giri di parole, con chiaro intento morale-edificante, come tiene a precisare lo stesso Dresen: «La storia di Hilde ci insegna che è sempre importante difendere i propri ideali e, se occorre, resistere. Hilde Coppi non è un’attivista politica in senso stretto, ma piuttosto una persona onesta, spinta a ribellarsi dalla propria coscienza. La storia d’amore è diventata il fulcro della storia insieme alla loro forza interiore e quella dei loro amici. Questa è per me una verità che abbiamo sotto gli occhi anche ai nostri giorni e in tutto il mondo, osservando il modo in cui i regimi antidemocratici si oppongono a ogni forma di resistenza, perseguitando anche quelle apparentemente più discrete o minimali. Resistere significa agire nell’ambito dei propri poteri e delle proprie possibilità, con un occhio vigile, sentendosi parte attiva e critica di una società. Ognuno di noi è capace di questo e non c’è nessuna scusa per sottrarsi». Così, dentro questa cornice melodrammatica il film segue una prospettiva politico-civile dal monito universale e quindi inevitabilmente tragico, che vuole oltrepassare il disincanto e la rassegnazione spesso matrici di un’ambiguità latente e rivelatrice di un male invisibile. In questo senso Berlino, estate ’42 è sì un film d’amore, inteso qui come forza totale basata su dono e accoglienza. Dresen si conferma molto audace e meno banale di quanto possa apparire se distrattamente relegato a etichette di circostanza. Il suo film freddo e asciutto ma emozionante, capace di commuovere con onestà, veicola una rabbiosa domanda di senso che tutto sostiene e rinvia, intorno alla quale ruota l’impianto del film costruito intorno a episodi fugaci. Momenti, istanti che traducono la volontà di avvicinarsi, riconciliarsi, abbattere le frontiere divisive (si riguardi con attenzione la sequenza della lettera di Hans prima di morire e quella successiva di Hilde) ma anche riflettono in chiave paradigmatica sulla contrapposizione tra luce e buio, prima e dopo, forza e fragilità umana, debolezza e meschina inconsistenza.