L’assurdo arbitrio di Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos

Il solito mondo sotto il cielo di Lanthimos: turgido come un mito che si offre alla realtà senza troppe cerimonie, austero come un olimpo occupato da piccoli uomini alle prese con le loro miserie, surreale e cinico come una metafora finita in territorio astratto. Kinds of Kindness (in Concorso a Cannes77) applica il format del regista greco alla caducità vagamente indie del cinema americano (produce Searchlight) e si offre in un trittico in cui il rapporto tra vita e realtà è trattato come una variabile dell’innato desiderio dell’umanità di creare una alternativa al proprio fragile destino. La formula è quella del film a episodi, cast sostanzialmente fisso per caratteri variabili ma non troppo: Emma Stone è la donna in cerca di se stessa sotto l’egida della perfetta (in)dipendenza; Jesse Plemons è l’uomo che obbedisce al proprio destino anche quando crede di dettare le regole; e Willem Dafoe è l’entità che governa e coordina tutta la scena, sorta di divinità finita nell’umana caducità. Lanthimos dispone immancabilmente le carte sul suo tavolo per un solitario a chiave astratta, elaborando la sua mitologia immanente senza farsi troppi scrupolo se risulta sgradevole e insistente, qua e là tronfio nella sua intelligenza, sempre intrigante, ma solo a patto di accettare il suo gioco – altrimenti meglio prendere un’altra strada…

 

 
Il primo episodio è il migliore, dove Willem Dafoe è un magnate che si crede dio (e forse lo è pure…) e, come fosse un regista, scrive giorno dopo giorno la sceneggiatura della vita di Jesse Plemons: cosa mangiare, dove andare, come vestire, chi incontrare… L’uomo-marionetta ha in cambio una vita ricca e felice, ma l’eden che ha attorno è soggetto alla regola della cieca obbedienza, che ovviamente mette in gioco la sua dignità, moralità, bontà. Il secondo episodio, invece, è dove Emma Stone è la moglie del poliziotto Jesse Plemons data per dispersa in mare: tornata dopo mesi su un’isola deserta, è sospettata dal marito di non essere davvero e finisce nel circolo vizioso della sua ossessione. Nel terzo episodio, infine, la Stone e Plemons sono invece due seguaci del guru Dafoe, che vanno in cerca di una ragazza dotata del miracoloso dono di resuscitare i morti.

 

 
Lo schema che Yorgos Lanthimos segue è quello del rapporto cangiante tra verità e finzione, ovvero tra identità e apparenza, quindi tra libertà e sottomissione. Ogni episodio è chiaramente una variazione sul tema del libero arbitrio, vecchia storia nel cinema del regista greco, sempre giocata tra l’artificio del vivere quotidiano e la compromissione morale di chi comanda e di chi è comandato. L’incombenza del senso dell’assurdo è il deus ex machina che cade dall’alto di un destino già scritto nelle sfere di una ratio assurda eppure determinante. Lo sguardo di Lanthimos è funzione conseguente di tutto ciò: filma ogni scena come se fosse un ordigno da innescare, disperde la ritmica dell’inquadratura nell’approccio ridondante agli spazi, aggredisce le figure con tagli prospettici in cui risultano passive qualunque azione compiono. Kinds of Kindness persegue con attenzione lo schema noto del suo autore e incide con autorevolezza le ennesime tavole della sua legge astratta, cinica, surreale e disinibita. Il suo povero uomo è quello conosciuto nei miti antichi, schiantato sotto il peso di un cielo troppo moderno per non essere di vetro.