L’avventura senza carattere di I tre Moschettieri – Milady di Martin Bourboulon

Se il D’Artagnan del primo capitolo era perdutamente innamorato di Constance, quello del secondo film è, invece, perdutamente disperato per la sua scomparsa dopo il rapimento. Solo la perfida e oscura Milady  (Eva Green) conosce il luogo della prigione della fanciulla, ma D’Artagnan (François Civil) non cede alle lusinghe della sensuale donna, che scopriremo essere la sposa fedifraga di Athos (Vincent Cassel), che ora da solo dovrà allevare il figlio ancora piccolo e badare anche al suo onore di militare Moschettiere del Re. Le cose si complicano e neppure l’arrivo in extremis questa volta, con l’unico colpo di scena del film, servirà a salvare D’Artagnan dalla disperazione. Ma non è il solo. Se infatti Aramis e Porthos vivono la loro felice avventura di cognati grazie a Mathilde sorella del primo, Athos dovrà fronteggiare un altro problema. Tornato a casa dopo le ennesime peripezie non trova il figlio che è stato rapito dalla vendicativa Milady, sua ex moglie. Purtroppo nonostante le giravolte della trama e la presenza affascinante di Milady, vera femme fatale che bene avrebbe potuto trovare posto in un polar, tanto per restare in Francia, il secondo capitolo della trilogia dei Moschettieri diretto da Bourboulon delude e non cattura. Non si può imputare nulla quanto alla sapienza nel creare un cinema spettacolare vista la grandiosità dell’impianto e le aperture delle sequenze secondo le regole del grande, grandissimo cinema di intrattenimento con una spazialità che diventa conseguente bellezza della sequenza nella magnificenza della fotografia.

 

 
Ma tutto questo non sembra bastare diventando vetrina accattivante e perfino piacevole anticipazione di un contenuto maestoso, ma che in realtà denuncia un po’ la corda della storia – o forse sarebbe meglio dire della non storia – sulla quale il film è costruito. L’impressione è infatti quella che il film si regga quasi sul nulla e non possieda un sostrato, una sostanza, un carattere così forte da diventare piacere assoluto del cinema, così come lo era stato il primo capitolo. Un po’ stancamente la vicenda va avanti e in definitiva lo spettatore, pur di ravvivare una trama un po’ stagnante, non sa bene se fare il tifo per il giovane e impavido D’Artagnan o per la perfidissima Milady, che attraversa il film in nero cavalcando un bellissimo e candido cavallo. Il film soffre di una mancanza di un vero baricentro, di una avventura che davvero catturi l’attenzione e produca quella suspense necessaria in ogni racconto avventuroso. Anche la vicenda di Constance appare troppo diluita ed è come se mancasse di carattere, di forza evocativa e perfino la disperazione di D’Artagnan non convince troppo.

 

 
A questo si aggiunga che si ha l’impressione che manchi un vero protagonista il cui carattere sia focalizzato e diventi il centro d’attrazione identificativo per lo spettatore. Una certa marginalità dei comprimari, perfino Cassel con il suo Athos viene relegato ad un ruolo marginale, e gli altri due spadaccini poco più che comparse, ma neppure il giovane guascone, ultimo arrivato, sembra assorbire quel ruolo condividendolo con la Milady De Winter, che però non sa saturare né la scena, né implementare l’immaginario. I limiti e i problemi della serialità sembra vengano fuori in questo secondo e poco articolato capitolo dei quattro provetti spadaccini. Il “tutti per uno, uno per tutti” qui funziona di meno e ciascuno va nella propria direzione e con qualche opportuno ironico riempitivo come ad esempio il matrimonio imprevisto tra l’ironico e generoso Porthos e la ex suora Mathilde, il film arriva in porto e ci fa sperare che ricominciando da tre le cose possano rimettersi presto a posto.