Le divagazioni intellettuali della malavita in A letto con Sartre di Samuel Benchetrit

Samuel Benchetrit oltre a essere un regista con all’attivo sette film, compreso questo, è anche uno scrittore ed è forse dal tentativo di coniugare queste due sue qualità artistiche che nasce un film come A letto con Sartre, che, diciamolo subito, se un difetto possiede è quello di essere costruito attorno a una trama possibilmente credibile, ma quindi non troppo, che a sua volta è (tutta) destinata a dimostrare altrettanti assunti che costituiscono le tesi dalle quali l’impianto prende le mosse. L’impianto è quello di una commedia con risvolti drammatici nella quale, grazie alla freddezza delle situazioni, i sentimenti vengono sterilizzati, come in un succedaneo della commedia dell’assurdo, per perdere ogni loro efficacia originaria e diventare solo spunto narrativo e dimostrazione di una ulteriore vacuità.

 

 

Benchetrit immagina Jeff un piccolo boss che svolge un non meglio identificato lavoro al porto, forse traffica in stupefacenti. È protetto dai suoi filosofici scagnozzi Jesus e Poussin che si occupano del lavoro sporco e quindi anche di convincere un giovane e macchiettistico piccolo delinquente a partecipare alla festa di sua figlia che ne è innamorata senza essere corrisposta. Ma Jeff che fa parte di un gruppo di aspiranti poeti, sul tipo degli alcolisti anonimi, trascura la moglie ed essendo invaghito di una giovane commessa del supermarket scrive improbabili versi per farla innamorare. Utilizza Neptune, suo fratello adottivo, per consegnare alla ragazza quelle acerbe poesie. Neptune, cyranesco latore, finirà con l’innamorarsi, corrisposto, di Roxanne. Jackye, un altro suo tirapiedi, per regolare un credito vantato dal suo principale finirà per interpretare in una pièce teatrale la parte di Sartre in un testo che riflette sul suo rapporto con Simone De Beauvoir.

 

 

A letto con Sartre mutua, dunque, stili e struttura dalla commedia dell’assurdo a cominciare da quell’approccio freddo alla materia, di cui si è detto, e nella depurazione di ogni sentimento in quella rigida essenzialità che caratterizza un certo astrattismo ideale, in quell’atteggiarsi originario di ogni struttura narrativa nella quale sembra smarrirsi il senso complessivo. Tutto ciò a favore di una narrazione adattata e diretta a dimostrare la tesi cara al suo autore della capacità della poesia, del verso, della cultura in generale, di modificare gli animi delle persone. Tesi suggestiva e non nuova, trattata con sano distacco da Benchetrit, nelle maglie larghe di una complessiva riflessione che lascia un po’ tutto in superficie.

 

 

È in questa lettura ridotta all’osso che ciò che resta, nonostante tutto, è il residuo di quei sentimenti, di Jeff per Roxana, la solitudine risolutiva di Katia per riconquistare il marito, il dolore romantico di Neptune per l’apparentemente irraggiungibile commessa segretamente amata dal boss Jeff. Il film, dunque, nella sua esemplare asciuttezza non delude le aspettative di una schematicamente romantica commedia dell’assurdo, nella quale si vuole dimostrare che la letteratura e la poesia possono fare miracoli e diventare leva per una elevazione anche dei delinquenti, mutando la qualità delle persone. Tutto è ironico, i delinquenti sono tutto sommato poco delinquenti ispirati dai loro discorsi intellettuali, tutto vuole essere leggero, tutto vuole essere divagazione (intellettuale) sulla inesplorata potenza dell’arte. Ma tutto è anche troppo stile, troppo teorico e come in ogni film a tesi si guarda senza troppa partecipazione. Non mancano i momenti esilaranti, ma tutto stilizzato entro precise coordinate di una asettica messa in scena, A letto con Sartre lavora sul già visto e già saggiato e non diventa novità assoluta e se è vero, come è vero, che non è la novità che si cerca, ma piuttosto una certa originalità nel modo di raccontare e che A letto con Sartre questa strada la cerca, è anche vero che il film dopo avere dimostrato la tesi – che nessuno aveva mai contraddetto – per la verità non ha molto altro da dire.