Le spectre de Boko Haram di Cyrielle Raingou: Tiger Award a Rotterdam2023

Boko Haram è il convitato di pietra dei quadri di vita colti da Cyrielle Raingou nel Nord del Camerun, sul confine con la Nigeria (terra che tra l’altro le appartiene), in questo suo film che ha vinto il Tiger Award a Rotterdam 2023: Le spectre de Boko Haram è un documentario con approccio umanistico, che scavalca la denuncia della drammatica situazione che racconta, per offrire piuttosto un ritratto di quotidianità, nelle cui ore e minuti si palesa, ben tangibile, lo spettro – appunto – della presenza di Boko Haram, l’organizzazione terroristica jihadista che dalla fine del 2014 semina il terrore tra la popolazione del nord Camerun, con frequenti incursioni dalle montagne sul confine nigeriano. Cyrielle Raingou sceglie il punto di osservazione di Kolofata, città che ha subito ripetuti attacchi dei jihadisti e che, presidiata dall’esercito camerunense, mantiene un ritmo di quotidianità costante. In lontananza risuonano colpi di mitraglia sui quali si ferma silenziosa e spaventata l’attesa della gente per strada, mentre la narrazione del film transita attraverso la storia di tre ragazzini: Falta, che vive con la madre nel doloroso ricordo della morte del padre per mano di un kamikaze jihadista, e poi Mohamad e suo fratello minore Ibahim, profughi dalla Nigeria, fuggiti dal campo jihadista di Mubi (dove la madre li crede morti, annegati nel fiume) e accolti dai soldati a Kolofata.

 

 

L’approccio minimalista di Cyrielle Raingou mostra rispetto e considerazione per i piccoli protagonisti e per la gente che vive con loro. Si traduce in un ascolto costante e diretto, sapientemente costruito in una messa in scena documentaristica, che del resto la regista non si preoccupa troppo di nascondere. Non c’è traccia di interviste, lo sforzo è quello di instaurare una narrazione diretta degli eventi pregressi nella rappresentazione della quotidianità presente dei protagonisti. È evidente che i personaggi sono posti da Cyrielle Raingou nella condizione di raccontare le loro storie, il setting è flagrante ma non infastidisce minimamente, perché ciò che davvero arriva è l’immediatezza dello sguardo della regista, la mancanza di qualsiasi malizia sentimentalistica e di qualsiasi tentazione di denuncia umanitaria. C’è una moralità quasi bressoniana nell’approccio della Raingou, che tanto più si apprezza quanto più il suo è un film che non ha la benché minima ambizione espressiva: c’è un rapporto uno a uno con l’urgenza della materia che mostra ed è un rapporto che appartiene alla scala dei valori di una vicinanza storica e umana – e non meramente ideale e umanitaria – alle vicende e alle persone che rappresenta. Le spectre de Boko Haram rifugge da ogni tentazione drammaturgica, si affida all’approccio antidrammatico di un gioco narrativo in prima persona, che coinvolge i piccoli protagonisti in maniera diretta. La stessa fotografia desaturata, priva di qualsiasi filtro cromatico e di qualsiasi elaborazione, dice di una onestà che è materia rara nel cinema contemporaneo. E che richiede una attenzione nello spettatore, una disposizione all’ascolto e alla visione, che è merce rara nelle visioni contemporanee e che merita di essere recuperata.