Les Loups e la funzione espressiva delle immagini

Les Loups - header - Laurine Benjebria - Carnet d'une RéunionnaiseCon Les Loups la regista canadese Sophie Deraspe, che abbiamo visto sempre al Torino Film Festival qualche anno fa con lo straziante Les Signes vitaux, si conferma un’autrice dall’anima singolarmente duplice: da un lato è una formidabile paesaggista, con una capacità rara di far parlare le immagini, o meglio di far parlare gli elementi atmosferici, che diventano allo stesso tempo catalizzatori dell’azione e detonatori emotivi; dall’altro lato è una meticolosa creatrice di melodrammi familiari, dove maternità aborti malattie e morti si incastrano in mosaici tesissimi da cui fino alla fine ogni speranza sembra essere bandita. Dicevamo singolarmente: perché il melodramma  in genere ha bisogno di parole, tende al verboso, è letteralmente psico-logico. La Deraspe, invece, come ogni vero regista, assegna la funzione espressiva alle immagini. Le foche mattate in questo film, i visi arsi dal freddo dei pescatori, il vento che sferza la costa innevata, il mare in tempesta, i piccoli gesti, le violenze silenziose, dicono più di mille discorsi e danno vita a una romanzo di formazione al femminile, viscerale quanto muto, dove una figlia cerca il padre che non ha mai conosciuto e si trova a dover (farsi) accettare (da) una specie di clan Les_loups_LGdi pescatori lontanissimo nei modi dal mondo borghese cittadino da cui proviene. Indimenticabile l’inquadratura finale del mare su cui, a tragedia avvenuta, galleggiano oscillando dolcemente scaglie geometriche di ghiaccio che sembrano appena scomposte o lì lì per ricomporsi, come gli affetti raccontati nelle due ore precedenti.