L’incipit della perdizione in Suntan, di Argyris Papadimitropoulos

Si ha chiaro sin dall’inizio del film quali siano i contorni del personaggio di Kostis. Lui è un quarantenne, non attraente, piuttosto silenzioso, ma anche disponibile, in fondo, alle relazioni umane. È arrivato sull’isola di Antiparos per fare il medico della piccola comunità. Ma d’estate la comunità si allarga perché l’isola si vivifica per la presenza di turisti. Anche il suo lavoro si intensifica e quando Anna con i suoi amici nudisti e sfrontati farà ingresso nel suo ambulatorio per una ferita alla gamba, sarà colpo di fulmine. Kostis comincia a frequentare la comitiva di Anna, ma è lei che lo interessa. Cambia la sua vita e mette a rischio la sua professione, emerge il suo fallimento esistenziale e la sua solitudine, ma soprattutto emerge un’ossessione amorosa, per nulla ricambiata, che lo conduce alla deriva. Papadimitropoulos in questo suo film del 2016, che solo oggi arriva sugli schermi italiani grazie a Trent Film, ci offre sin da subito le coordinate per conoscere il suo personaggio, un nerd incapace di leggere la realtà, disabituato a vedere interesse attorno alla sua persona e che ne costruisce una del tutto personale e deviata nel suo mondo drammaticamente solitario. Suntan diventa così il racconto dell’incipit di una perdizione, di quel successivo stadio della solitudine dove i desideri si radicalizzano e il bisogno si reprime con una progressiva decostruzione della personalità che lavora nella esclusiva e ossessiva direzione volta a soddisfare i desideri e i bisogni. Kostis diventa un morboso amante insoddisfatto e Anna, l’idealizzato soggetto del desiderio essenzialmente sessuale, l’obiettivo della sua incipiente devianza, l’approdo finale della sua incapacità a interpretare i segnali di quello che per la sfrontata Anna è qualcosa di poco più di un gioco e, invece, per Kostis è l’invincibile e devastante tormento amoroso ed erotico.

 

 

È per queste ragioni che Suntan è un film che si sviluppa attorno a questo crescente assillo, in una escalation per la verità prevedibile. È questa prevedibilità da quasi manuale per il disagio psicologico del fragile Kostis, illuso dai comportamenti esibiti di Anna che corrispondono a una precisa idea di libertà sessuale e non a un innamoramento per come lo intende Kostis, a rappresentare la parte più fragile e mai sorprendente del film, destinato a diventare la cronaca della psicologia controversa del personaggio, l’incipit di quella definitiva perdizione nella quale si riconosce il tema di fondo di tanta letteratura, che dalla possessione del demone del gioco fino a quello dell’amore carnale ha efficacemente giocato le carte della narrazione in questa stessa progressione ossessiva che oggi appartiene a questo quarantenne già un po’ in decadenza fisica che abusa dell’alcol e conduce una vita notturna che non è la sua. Suntan diventa un film manuale sulla trasformazione deviante della solitudine, sulla incapacità di interpretare il proprio ruolo secondo le proprie attitudini, ma anche su quella inadeguatezza a dare equilibrio alla propria vita riconoscendo i limiti e il senso complessivo delle cose. Il problematico film greco riflette forse una più ampia situazione del Paese dopo una profonda crisi economica, che sicuramente è diventata anche crisi collettiva sotto il profilo psicologico. I fatti della cronaca raccontano una sostanziale inadeguatezza del Paese alla partecipazione alla Comunità degli Stati. Una condizione che ha pesato sulla Grecia che oggi cerca con una soluzione politica forte di superare questo gap economico, che diventa anche tara esistenziale.

 

 

Così come accade per altri autori anche Papadimitropoulos si rivolge direttamente ai suoi connazionali con questo film che non raggiunge i picchi del cinema-metafora di Lanthimos, ma nonostante i suoi limiti, sa raggiungere il risultato di lavorare con una certa continuità sul profilo psicologico del suo protagonista, interpretato perfettamente da Makis Papadimitriou, che offre al suo personaggio solitario e ossessionato quella perfetta coerenza tra componente fisica e psicologica, con i suoi sguardi che si fanno presagio del futuro sviluppo degli eventi. Forse quello che manca a Suntan è un guizzo che sorprenda, una interruzione imprevista di quel perfetto succedersi dei fatti in una ricostruzione da manualistica dell’ossessione erotica. Ciò che manca è quella frattura della linearità che faccia emergere con coraggio un male umano, anche indotto da una diffusa indifferenza, che Kostis rappresenta con perfezione (quasi) accademica.