L’oblio del presente: a Locarno 70 Freiheit di Jan Speckenbach

Non torna a casa stasera, Nora, ombra femminile dal cuore dell’Europa, protagonista di Freiheit, l’opera seconda di Jan Speckenbach in Concorso a Locarno 70. Il tema della deriva esistenziale che tutto si lascia dietro e attraversa gli spazi per definire nuovi orizzonti viene attuato dal regista tedesco come materia per mettere in trasparenza la crisi identitaria che in realtà coinvolge l’intera nostra realtà. Lo schema è quello della fuga verso il nulla: Nora ha con sé solo il cappotto e una borsa e vaga per Vienna senza una meta. Alle spalle ha lasciato un marito avvocato, una figlia adolescente e un bambino, quadro di sazietà domestica che non le appartiene più. Arriva infine a Bratislava dove si fa un look un po’ punk e si spaccia per olandese, trovando lavoro in un hotel, come cameriera, e amicizia in una coppia diversamente tranquilla (lui cuoco, lei spogliarellista, due figli a carico anche loro…). Speckenbach la segue con curiosità un po’ schematica, insistendo sui luoghi delle derive esistenziali come fossero tappe di una via crucis: lo sguardo perso nel nulla di Nora si rispecchia nella normalità che la circonda e rimanda a un passato cui non è mai appartenuta. Intanto a casa il marito, in affanno coi figli, ancora la cerca e la aspetta. La sua frustrazione l’uomo la confessa solo al nigeriano in coma che va a trovare in ospedale, vittima del razzismo senza motivazioni dell’adolescente che ha accettato di difendere senza troppa convinzione.

 

Nelle intenzioni del regista, dovrebbe essere lui, l’immigrato in coma, l’ideale commutatore di senso tra lo smarrimento esistenziale dei protagonisti e quello universale della realtà contemporanea: siamo tutti privi di sensi, assenti a noi stessi e alle nostre identità, abbattuti senza un reale motivo dai colpi del mondo che ci circonda. Più o meno… Perché poi la “libertà” che campeggia nel titolo di questo film è figlia del Lete, il fiume dell’oblio, o chissà magari dello Stige, il fiume dell’odio, quello che ci separa dalla bruegeliana visione su cui il film si spegne: Nora sarà consegnata da  Speckenbach a un simbolico guado senza speranza verso una apodittica Babele, dopo averci mostrato le ragioni della confusione di una donna sospesa tra delusione coniugale e presa d’atto del proprio senso di disappartenenza. Tra una prima parte intensamente interlocutoria e una parte finale lucida e tagliente (in particolare la cena a casa la sera prima della sua fuga), Freiheit si affida a uno sviluppo un po’ schematico, fragile soprattutto nel ritratto dell’impacciato marito e distratto nel costruire il pur importante parallelo con la porzione di racconto dedicata al profugo in coma. Per il resto, il ritratto di Nora campeggia con una precisione dovuta anche alla bella interpretazione di
Johanna Wokalek.