Locarno 70 – In concorso 9 Doigts noir espressionista di F.J. Ossang

Il bianco e nero espressionista, affezione estetica ritornante nello scrittore e regista francese F. J. Ossang, smarca la matrice onirica e ossessiva di 9 Doigts, il noir astrattamente letterario di coproduzione franco-portoghese in Concorso a Locarno 70. Il cargo su cui si ritrova il protagonista Magloire (Paul Hamy) fa rotta verso l’isola di Nowhereland, seguendo la mappatura di una delirante gang che ha trafugato una cassa di polonio e intende cambiare le regole del mondo. Il vascello fantasma scandisce la dimensione estraniante di un film che l’autore vuole giocare come un esercizio di stile in cui credere agli schemi di genere solo per renderli poi volutamente disfunzionali. L’impianto performativo è chiaro e netto, esigenza di un certo cinema della contemporaneità che scavalla arti e mestieri della scena internazionale in cerca di trasfusioni visionarie (viene in mente Occidental dell’artista francese Neïl Beloufa, fattosi notare al Forum della Berlinale).

Il retrogusto che resta è marcatamente scenografico, invece che filmico: giochi di forme, sagomature cromatiche, personaggi cubitali dal dialogato smaccatamente scritto. Qui il bianco e nero tinteggia il chiaroscuro espressionista e spesso smussa nella circonferenza a iride gli angoli del primo piano, mentre i personaggi stanno tra Murnau e Lang, giocando con la fine del mondo senza badare all’esiguità del mistero che si portano dentro. Il gioco letterario e cinematografico si dilunga come può sull’argomentare filosofico di méchants vistosamente cartooneschi, di fronte ai quali l’antieroe Magloire, colto da Ossang nel suo destino di fuggiasco, celebra la “sua gloria” come può, ovvero meschinamente e senza grandi pretese. Reggesse meglio la sua pur non eccessiva durata, 9 Doigts avrebbe un fascino cinematografico perverso, quello di negare il cinema nel corso dell’amplesso con cui ci unisce ad esso… Ma Ossang prende troppo sul serio l’ironia con cui vorrebbe palesemente dissaguare il tutto e alla fine disperde le energie di un progetto al quale non si faticherebbe a riconoscere il fascino di un’astrazione fuori tempo.