Longer Than LeBron…“King” James, Bugs Bunny e la Looney Tunes Squad protagonisti del nuovo Space Jam: New Legends

«Shoot the ball, Sam, shoot the baaaall!!!» grida Daffy a Sam il Pirata. E ovviamente parte una raffica di pallottole sparate sul pallone da basket dal pirata con i baffoni rossi… Per chi è stato ragazzo nel 1996, il ritorno di Space Jam è un po’ come una madeleine proustiana, ma all’americanissimo gusto marshmallow. Un ritorno al puro divertimento cartoonesco e un po’ infantile, a volte troppo. Doppiare un film è sempre difficile, ma stavolta, se il testo in italiano a tratti non si può proprio sentire («Tanta roba, bro’!»), almeno ci pensa il piano visivo – griffato IL&Magic – a ipnotizzare le pupille, soprattutto nella commistione di generi cinematografici e Looney Tunes.
L’intrattenimento oscilla tra l’immaginario fanciullesco, smaccato a volte didattico-“educativo”, e il citazionismo cinefilo. Il primo capitolo lo aveva diretto il pubblicitario Joe Pytka (il film prendeva le mosse proprio da uno spot Nike, in cui Bugs il coniglio si incontrava con Michael “Air” Jordan). La regia di SJ2 – scritta da un nuovo team di sceneggiatori – è firmata Malcolm D. Lee, che ha diretto alcune commedie superblack non proprio memorabili e dalle venature “BET” (Black Entertainment Television) come The Best Man, The Best Man Holiday, Undercover Brother… Sua la regia anche di un episodio della recente serie Wu-Tang: An American Saga per Hulu.

 

 

Oltre a Space Jam di Pytka, molto si deve al capolavoro inarrivabile Chi ha incastrato Roger Rabbit di Bob Zemeckis e ancor più al gioiello Looney Tunes: Back In Action di Joe Dante, nato proprio da un primo progetto SJ2, mai realizzato all’epoca. Nel film di Dante erano i rimandi pittorici a restare impressi nella memoria. I cartoni al Louvre diventavano “puntinizzati”, entrando nel quadro Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte di Seurat, o liquidi dentro La persistenza della memoria di Dalì o ne L’Urlo di Munch. In Space Jam: New Legends sovrabbondano soprattutto le citazioni cinematografiche costanti e compaiono anche i looneytunesiani Gremlins proprio di Joe Dante. Da Matrix, la nonnina di Titti diventa Trinity, a Mad Max: Fury Road, adrenaliniche corse nel deserto, fino a Casablanca, Bugs e soci improvvisamente in bianco e nero. Qualcuno dice «Suonala ancora, Sam!» e ovviamente si gira verso l’obiettivo il brusco Sam Il Pirata, pistole in pugno… La trama pare un pretesto, tra autocelebrazione lebroniana – gli elementi autobiografici della prima sequenza – e incontro con i cartoni animati. Nessuna invasione aliena stavolta, ma un’intelligenza artificiale che risucchia James e il figlioletto (interpretato dal giovane attore Cedric Joe) dentro al sistema numerico. Per ottenere la restituzione del figlio e la libertà, LeBron deve accettare una sfida di pallacanestro da videogioco… La correttezza politica addomestica e inceppa spesso la fluidità ribelle della crew Looney. La celebrazione del “Re” del basket e del marchio di fabbrica Warner a volte sfiorano la saturazione.

 

 

Il film si salva grazie alle molteplici trovate folli e bislacche dei protagonisti cartoon (strepitoso l’arrivo impensabile e “interrotto” di un certo MJ) e alla sequela di gag tra mondi cinematografici e campo da basket.Manca soprattutto il Bill Murray della situazione, un personaggio “umano” con lo spirito e l’animo dei cartoon. Un personaggio in grado di fare da naturale trait d’union tra i due “mondi”, senza bisogno delle nuove tecnologie ipersofisticate. È invece un piacere ritrovare l’inatteso Speedy Gonzales, dopo l’assurda polemica che, qualche tempo fa, lo voleva bersaglio di cancel culture, in quanto stereotipo del messicano, per parlata spanglish e abbigliamento con sombrero. Che diamine, è «il topo più veloce del Messico» e si fa beffe di un meraviglioso americanissimo gatto tonto e con la zeppola…Comparsata di altre star NBA: Anthony Davis, Draymond Green, Damian Lillard e Klay Thompson, oltre alle regine della WNBA Sue Bird e ‘Nneka Ogwumike. Il basket, però, lo dice il protagonista stesso, il numero 6 dei Lakers: «è un’altra cosa!».