Man Down. L’uomo si arrende ai disastri della guerra

man-down-recensione-v6-27023-1280x16Sostiene Dito Montiel che Man Down sia il suo film più importante. E lo è se consideriamo il percorso compiuto sull’asse di una ricerca intima dei personaggi che Montiel mette in scena, che inventa e che racconta a partire dalla loro fisicità, per poi, sottraendo, arrivare al nocciolo di ogni questione: i rapporti padre e figlio, le incongruenze famigliari, le ferite invisibili che non si rimarginano. In questo senso Man Down (nella selezione di Orizzonti) è il più estremo e anche quello che di più si sforza di confrontarsi con il mondo, la società, le linee di sopravvivenza. Molto dell’aspetto allucinato è dato dall’ambiente intorno, i palazzi fatiscenti e abbandonati da set apocalittico non sono altro se non lo scenario offerto da New Orleans dopo l’uragano Katrina, set dolente e perfetto per immaginare il mondo dopo la fine del mondo, che compone uno dei molteplici livelli narrativi di questa storia di guerra. Come già in Guida per riconoscere i tuoi santi (anche quello interpretato da Shia LaBeouf), Montiel spezza la cronologia dei fatti e sparpaglia gli avvenimenti tra presente e passato lasciando quasi al caso il compito di rimettere insieme i pezzi. Lo deve fare il reduce Gabriel Drummer, disperso nella rete di pensieri della sua mente. Dopo un terribile errore in Afghanistan deve scoprire dove sta il confine tra la sua percezione e la realtà dei fatti. Ragione per cui è necessario camuffare la verità e vivere una vita diversa, spaventosa, ma a cui mancano i momenti di rottura. E non è la guerra in sé ad averli determinati, quanto il riposizionamento di certi legami triangolari tra il suo miglior amico, la moglie e il piccolo figlio. Ci si deve salvare anche dagli uragani più spaventosi e la guerra che i militari si portano a casa dice molto della sensazione di impotenza che questo film racconta.

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Montiel si muove sovrapponendo il suo sguardo a quello dei suoi personaggi, o meglio, ai molti sguardi del protagonista. Padre, marito, amico, soldato, illuso, disilluso. Non sappiamo quasi nulla di lui prima di questa catastrofe e vediamo solo quello che ci mostrano i suoi occhi. Lo svelamento si fa tortuoso e parziale, contaminato dalle tante ossessioni, dalle cose che ha visto, come la donna e il bambino nascosti sotto un tappeto. In quel momento, in quella scena centrale e contraddittoria, sono tutti contemporaneamente vittime e carnefici, vivi e morti. Sarà difficile per Gabriel uscire da quella casa perché nei suoi occhi sono rimaste immagini facili da ricollocare e assimilare nella sua vita. E, infatti, nel delirio estremo si troverà ad essere protagonista di una una scena violenta altrettanto epifanica. Un uomo, una donna, un bambino, chiusi in una stanza, mentre fuori sembra prepararsi la battaglia. Come a dire charton10761e solo davanti alla ripetizione l’occhio può distinguere il vero dal falso. Si pensa in prospettiva contraria, al vagabondaggio di Gabriel nel labirinto di un mondo distrutto. La ricerca affannosa di moglie e figlio si conclude con una sparatoria, un gioco di specchi, più che di incastri cronologici, destinato forse a non finire mai e a riproporsi per ogni soldato e per ogni storia.