Misericordia di Emma Dante. La disperazione in forma di poesia

Il suono di un carillon ci dice che siamo nei territori della favola. Lieve e pungente per lo sferzare delle onde sulle rocce, crudele e antico come i miti più oscuri. Misericordia inizia con una morte violenta e una nascita a ridosso del mare. Il piccolo Arturo compare neonato in una grotta e si avventura nella vita correndo e danzando, girando su sé stesso gioioso e senza parole. È “difettoso”, ha 18 anni ma non ha mai superato l’infanzia e con gli occhi bambini guarda il suo microcosmo pieno di contrasti, tra violenza e delicatezza. Misericordia, dice Emma Dante, “racconta una realtà squallida, intrisa di povertà, analfabetismo e provincialismo, esplora l’inferno di un degrado terribile, sempre di più ignorato dalla società. Racconta la fragilità delle donne, la violenza che continua a perpetuarsi contro di loro, la loro disperata e sconfinata solitudine”. Emma Dante inventa una comunità di sbandati che vive in case diroccate e in baracche di lamiera. Tutti partecipano della l’estrema innocenza della vita selvaggia e dell’umana oscurità. Ci sono bambini che giocano con poco, donne madri e prostitute, tenute in scacco da un uomo meschino che chiamano Polifemo, con le sue feste, i modi volgari da padrone. È lui ad aver ucciso di botte la madre di Arturo, che si chiama come una stella e osserva il cielo con sgomento e desiderio.

 

 

Misericordia è stato prima un acclamato spettacolo teatrale, divenuto film senza una totale trasfigurazione rispetto al palcoscenico. Perché il corpo degli attori (Simona Malato, Tiziana Cuticchio e Milena Catalano, oltre al ballerino Simone Zambelli) è sempre in primo piano, con la loro emergente fisicità, i gesti che si fanno poemi di un mondo sottratto al tempo, ma vibrante, poetico e tragico per come il presente si innesta in una sorta di tempio senza divinità, dove il paesaggio muta tra la spiaggia, la cava bianca, il cumulo di immondizia che qualcuno ogni tanto brucia e l’imponenza della montagna, che risuona con cupi moniti agli eccessi umani. Si esalta l’aspetto teatrale della vita quotidiana, il bene, il male, l’amore e l’odio. Elementi ancestrali (l’acqua, che abita i pensieri di Arturo e allaga la casa delle protagoniste, la luce, il vento, la roccia che si stacca dalla montagna) che hanno la funzione di portare questa storia di umana disperazione su un piano simbolico, dove uomini e donne rivestono un duplice ruolo, agito e sublimato al tempo stesso. La maternità è nella ripetizione di gesti e parole, una sorta di coreografia dei movimenti che talvolta si spezza per ricomporsi presto in armonia, ed è nell’impeto del mare e nella sua energia benigna, nei suoni avvolgenti della natura e di voci calde a riempire i vuoti. In questo ambiente si muove il fanciulletto Arturo, essere speciale che come tale è stato accolto dalle due donne fin dalla sua nascita, eppure consapevole di amore e paura, capace di sogni di incantevole bellezza e poesia.