All’inizio l’impressione è quella di riconoscere un mondo che sembra familiare. E in effetti i vialetti e le abitazioni del quartiere residenziale dove torna a casa il giovane protagonista nei primi minuti del film potrebbero appartenere allo stesso universo narrativo che ospitava le surreali vicende di Edward mani di forbice (sebbene le location, entrambe in Florida, siano luoghi differenti), mentre la donna che accompagna il ragazzo è l’attrice O-Lan Jones, nel cast del film del 1990. L’impressione si accentua quando, non molto più avanti, fanno bella mostra di sé le stesse iconiche “sculture” di cespuglio che sapeva realizzare il personaggio nato dall’immaginazione di Tim Burton, in una sorta di collegamento tra il passato e il presente di un cinema da sempre nutritosi di storie e personaggi fuori dall’ordinario. L’autocitazione finisce però per assumere più le fattezze di una nostalgia inerte, che di un tentativo del regista di rispolverare una poetica divenuta via via più marginale nei suoi ultimi lavori, specie in quei tratti distintivi di sincero amore per le figure malinconiche e “diverse”.Il soggetto di Miss Peregrine- La casa dei ragazzi speciali, trasposizione del primo capitolo del fenomeno editoriale di Ransom Riggs,contiene tutti gli elementi che lo pongono nelle corde dell’immaginario burtoniano, dall’atmosfera fantastica e fiabesca al gruppo di bambini freak, passando per gli aspetti dark e i toni horror; premesse di una storia che sulla carta sembrerebbe ideale per il regista americano, ma che tuttavia si risolvono in un racconto convenzionale e privo di un tocco davvero personale, dove prevalgono schemi narrativi ed estetici ormai consolidati in tanto cinema blockbuster.
Protagonista in Miss Peregrine è Jacob, ritrovatosi, dopo la tragica morte del nonno, ebreo scampato allo sterminio nazista, a fare i conti con le strane storie che l’anziano gli ha raccontato sin da piccolo, quelle di una casa in cui durante la Seconda guerra mondiale trovarono rifugio lui e altri bambini dalle abilità particolari. Quando Jacob parte alla ricerca della verità su questo luogo, finisce per scoprire più del previsto, su Miss Peregrine, su se stesso, e su una minaccia in arrivo. Burton insiste poco sui temi della Shoah e dei bambini in fuga dagli orrori della guerra che attraversano il libro di Riggs, e tralascia tutti quegli aspettia cui in altri tempi avrebbe dedicato molta della sua attenzione. Così non si percepisce empatia, ad esempio, verso la diversità di questi ragazzini emarginati e costretti a vivere lo stesso giorno all’infinito, poiché isolati – ma salvati -in un loop temporale da Miss Peregrine, una specie di strega buona capace di tramutarsi in uccello e modificare il corso del tempo; e persino i cattivi finiscono per non essere veri cattivi (se non in un’unica bella sequenza dark), riducendosi a maschere più ironiche che spaventose. Burton gioca tutto sull’eccezionalità dei personaggi in quanto portatori di una unicità da custodire e valorizzare, evitandone però lo scandaglio delle psicologie e cedendo allo spettacolo e alla computer graphics con il risultato di un appiattimento della narrazione su soluzioni che sanno di già visto (da Harry Potter a X-Men, per dirne qualcuno, fino agli smaccati richiami a Ritorno al futuro) ma anche costruendo sequenze poco coese con il resto del film, come quella degli scheletri rianimati che finisce per ricordare l’Armata delle tenebre in tutta la sua carica grottesca. Non basta qualche idea riuscita (la caccia agli occhi dei bambini), e neppure il cast di star che punta sulla presenza gotica di Eva Green, o la suggestione dei plumbei panorami della Cornovaglia scelti per ricreare le coste del Galles, a stimolare il coinvolgimento per un film in cui di Tim Burton resta davvero poco, fagocitato dall’urgenza di adeguarsi agli standard commerciali o da un cedimento della propria fantasia. Del suo immaginario rimangono allora soltanto alcune suggestioni, un po’ poco per trovare ancora oggi lo stesso entusiamo per un regista che ci ha saputo spesso incantare.