Promises di Amanda Sthers: l’attimo di una vita

Il tempo, secondo alcuni, non è una linea retta. Al contrario, ciò che accade nel passato non rimane ancorato indissolubilmente a un momento antico e perduto per sempre ma avrebbe ripercussioni importanti nel presente e nel futuro, tanto da far supporre che certi eventi già compiutisi e percepiti come conclusi potrebbero essere accaduti in modo arbitrario in qualunque arco di tempo dell’esistenza di una persona. È questa la tematica centrale e preponderante di Promises (Les promesses), il nuovo film della talentuosa regista francese Amanda Sthers tratto dal suo omonimo romanzo che rappresenta la storia di una vita, quella di Alexander “Sandro” (Pierfrancesco Favino), e di tutti i suoi rimpianti e nostalgie. Proprio la riflessione filosofica sul tempo trova ampio spazio all’interno della narrazione dell’opera, investendone, di conseguenza, la stessa struttura portante, per cui le sequenze non sono disposte secondo una cronologia tradizionale ma secondo una “a salti” temporali, che intreccia vari fatti tra di loro come a sottolineare l’importanza della visione d’insieme per giudicare gli atteggiamenti, le reazioni e le problematiche di un singolo individuo nel contesto del suo vissuto personale.

 

 

La manipolazione del tempo narrativo è resa possibile, in questo senso, da efficaci associazioni e similitudini interne tra sensazioni, impressioni e sentimenti provati da Sandro e che continuano a manifestarsi e ricorrere in diversi luoghi, momenti, contesti sociali alla presenza di persone diverse o meno. Questo aspetto, nonostante sia particolarmente affascinante nonché di difficile realizzazione, purtroppo rende la pellicola a volte eccessivamente confusionaria e quindi irritante (quasi come la vita stessa), complice anche l’estrema lunghezza del racconto, per quanto subordinata all’esigenza di riflettere la complessità e l’imprevedibilità di tutti i momenti significativi dell’intero percorso esistenziale e formativo di una persona. Del resto, quello che sembra commuovere e coinvolgere lo spettatore è piuttosto il profondo e pregnante messaggio che il film intende comunicare, al di là dei caratteri puramente formali e linguistici. La regista, infatti, mette in scena con profonda umanità e realismo (anche) una storia d’amore impossibile, quella tra Sandro e Laura (una bravissima Kelly Reilly) in cui in qualche modo si situa il perno intorno al quale ruota la vita del protagonista, alla continua ricerca di qualcosa di cercato e mai trovato, di sperato e mai raggiunto, di sfiorato e mai posseduto.

 

 

In contrapposizione alla vasta e varia quantità di argomenti e motivi che affollano l’universo di Sandro, dall’infanzia alla vecchiaia, l’amore, quello vero e autentico, è forse (potenzialmente) l’unico pensiero costante dell’uomo, che risulta anche trasversale alle epoche e dotato di un potere quasi magico di influenza sugli eventi a cui non si può resistere. Il messaggio trasmesso, quindi, è fondamentale: nulla nella vita conta quanto l’amare ed essere amati, e il coraggio di esprimere i propri sentimenti deve andare oltre la paura. La sottile sensazione nostalgica verso qualcosa di mai realmente raggiunto ma solo immaginato e bramato fino allo stremo delle forze, in questo modo, oscura e deteriora lentamente l’apparente vita perfetta di Sandro, sposato e con una figlia, che si accorge di aver sempre solo scorto ma non perseguito con convinzione l’amore, che rende fragili e deboli ma allo stesso tempo forti e soddisfatti. E così, perseguendo il sentiero dell’immaginazione, è proprio nell’immaginazione del coronamento di un amore mai consumato (in un emblematico bacio sotto la pioggia tra Sandro e Laura) che il film trova la sua chiusa.