Kiera Allen stars as 'Daughter / Chloe' in RUN. Photo Credit: Allen Fraser.

Ribaltare il thriller: Run, di Aneesh Chaganty

Il pretesto è molto classico: un thriller ambientato in una casa isolata con due soli personaggi, una madre e una figlia. La prima, Diane, riversa tutte le sue energie nella cura della seconda, Chloe, che è costretta su una sedia a rotelle e, fin dalla nascita, è affetta da diverse patologie. Ora la ragazza ha però compiuto 17 anni e guarda alla possibilità di lasciare casa per andare al college, ma la lettera d’ammissione tarda ad arrivare. Sempre che non ci sia qualche segreto che sua madre nasconde…Dichiaratamente il regista Aneesh Chaganty guarda ai thriller dell’epoca d’oro di Hollywood e non tardano perciò a manifestarsi echi hitchcockiani o del Robert Aldrich di Che fine ha fatto Baby Jane?. Allo stesso tempo, comunque, un altro sapore progressivamente si insinua, la sensazione di una prospettiva che invece è ribaltabile e forse già ribaltata. Così, si parte dalla condizione della figlia, che si sposa alla sua evidente centralità narrativa: il film non si schioda mai da lei, poiché indaga ogni possibile ricaduta emotiva delle giornate in quella realtà apparentemente perfetta. Come a “infettare” subito il quadro, però, Chaganty predilige tinte cupe e poco accattivanti, facendo spesso scontrare il verde e il viola, disegnando in questo modo una realtà che ritaglia i personaggi come figure espressioniste, spesso confinate nell’ombra o come “schiacciate” dall’ampio uso di plongée. Si genera così un forte contrasto fra la natura idilliaca e ideale, eterea, della vita in famiglia e un forte sapore di materialità che sembra guardare alla corruzione della stessa – si pensi anche all’uso espressivo del cibo, spesso anch’esso fastidioso, pastoso, poco incline alla bellezza visiva, con echi quasi polanskiani.

 

 

Il ribaltamento, insomma, è davvero dietro l’angolo e infatti, all’interno di questa classica formula narrativa di matrice hitcockiana, Chloe non è presentata come la vittima, ma in quanto personaggio pronto ad affrontare ogni difficoltà, laddove è Diane a offrirsi invece con i tratti della figura più debole, dipendente dalla figlia su cui ha regolato la sua vita e le sue ossessioni. Il tutto trova naturalmente la sua sintesi in un titolo che indica il movimento (“run”, correre, fuggire) applicato però a un film stanziale con una protagonista bloccata sulla sedia a rotelle, costretta a controllare il respiro limitato dall’asma e che si troverà a dover compiere una vera corsa a ostacoli. Letteralmente, tale e tante saranno le prove in cui dovrà attraversare strade, strisciare sui tetti, superare un inerte montascale diventato all’improvviso d’ingombro e via citando. Come in un gioco di scatole cinesi in cui la realtà apparente si scontra con quella fattuale, progressivamente il ribaltamento si allarga sempre più all’intero mondo messo in scena, che rivelerà infatti tutti gli inganni sul quale è stato fondato, rovesciando i ruoli stessi della madre e della figlia, ancora fino al post-finale. Forte della sua giovane età (al secondo film in appena trent’anni), Aneesh Chaganty empatizza evidentemente con il personaggio più giovane e apparentemente svantaggiato della famiglia, complice anche la bella performance dell’esordiente Kiera Allen (reclutata dopo un casting effettuato nell’ambito dei doposcuola e dei programmi per disabili), che tiene perfettamente testa alla veterana Sarah Paulson. Il tutto per offrire un ritratto molto pungente dei legami affettivi quale gabbia oppressiva rispetto a una generazione affamata di vita, ma costretta dalle circostanze a non potersi esprimere. Il che è anche un bel ribaltamento rispetto al precedente lavoro di Chaganty, Searching, in cui un padre cercava di ritrovare la figlia scomparsa da 16 anni attraverso Internet. Qui, nell’unico momento in cui vediamo Chloe accendere il computer di casa, la linea è assente, quasi a voler ribadire che, ancora una volta, ci troviamo dalla parte opposta del paradigma.