Ridere sino alla fine del mondo: su Netflix Don’t Look Up di Adam McKay

Il ground zero della verità, laddove il dire e il non dire giacciono tra le stesse macerie insieme a Jonah Hill, ineffabile Segretario di Stato americano… Un po’ come il guardare e il non guardare: in alto, in basso, soprattutto in faccia alla realtà. Ecco, la realtà è il vero oggetto su cui si sofferma sempre Adam McKay col suo cinema mimetico: “This is a true story” era lo strillo di La grande scommessa. Un cinema che è (sembra…) demenziale solo perché indossa lo stesso abito dei mondi che sbeffeggia: eminentemente mondi dell’apparire, zone alte del potere politico, economico, informativo… Altra cosa dalla “demenzialità” del cinema anni ’80, che era solo lo sberleffo adolescenziale in faccia al sistema (sociale, cinematografico…) rispetto al quale il cinema di McKay – e in maniera differente anche degli Apatow, Rogen, ecc. – rappresenta lo schianto dell’età adulta, la fine dell’innocenza e l’assunzione della (ir)responsabilità. Schianto, cometa, finedelmondo: Don’t Look Up (in sala e ora su Netflix) è la commedia dell’armageddon. O, se preferite, l’armageddon della commedia, perché lascia a terra le macerie di ogni possibile scherzo e indossa la mimetica della guerriglia contro il sistema, adottando il suo steso gergo, la medesima rilucenza che è un po’ lo shining della stoltezza assunta a modello dal mondo: da Anchorman a La grande scommessa sino a Vice, Adam McKay adotta il camouflage come forma critica dell’essere contemporaneo e lascia emergere con una forza drammatica eccezionale la sostanziale verità di ciò che racconta.

 

 

Don’t Look Up è un distaster movie che fa ridere e fa paura e provoca angoscia: davvero! Perché è un disaster movie tragicamente spostato dalla sfera del dramma a quella della commedia, dove la catastrofe imminente e la conseguente epifania morale non innesca la catarsi nei protagonisti, ma scatena l’irrazionalità compulsiva del sistema nel quale siamo calati. Nel film c’è una cometa di 9 chilometri di diametro che è diretta giusto contro la Terra e che provocherà l’estinzione di ogni specie vivente sul pianeta: questo è un dato di fatto scientifico, appurato da un astronomo del Michigan (Leonardo DiCaprio) e da una sua ricercatrice (Jennifer Lawrence), portato a conoscenza del Presidente degli Stati Uniti d’America (Meryl Streep), che prima lo sminuisce poi lo cavalca, perché è alle prese con microscandali e con giochi da midterm election. Gli scienziati non si capacitano e allora provano a denunciare il fatto ai giornali, arrivano in tv nello show del mattino di una piacente anchorwoman (Cate Blanchett), ma l’informazione, per quanto cruciale, gira a vuoto nel circo mediatico globale. E anche quando viene infine presa sul serio, innesca dinamiche irrazionali di negazionismi e fanatismi opposti, distinguo e ottimismi, giochi di interesse e di potere: non manca nemmeno il guru del device high tech con algoritmo magico in stile Steve Jobs (un impagabile Mark Rylance)… Togliete dal plot la cometa gigante e mettete al suo posto il riscaldamento globale e il disaster movie diventa una sorta di drammatico documentario in presa diretta sulla stolidità contemporanea.

 

 

Ma a prescindere da tutto questo, Don’t Look Up resta un film che utilizza il cinema come una maschera che deforma la realtà per renderne palese la smorfia: lo guardi come una commediaccia e ti fa pensare come un film inchiesta. Adam McKay è così: ogni volta è sorprendente come i suoi lavori riescano ad essere allo stesso tempo sopra le righe e immancabilmente dentro il solco della realtà. Seminano uno strisciante senso di malessere per la loro capacità di smascherare le strategie dissimulatorie su cui si basa la percezione e la comunicazione nel nostro mondo. Siamo spiazzati, perdiamo l’equilibrio, e questo ci piace ma ci mette a disagio: proprio come succede quando saliamo su una giostra…