Santa e donna: la Chiara di Susanna Nicchiarelli

È una Chiara che sembra nascere più da una articolazione ideale che da una illustrazione storica, quella che Susanna Nicchiarelli chiama a concludere la sua trilogia sulla femminilità incarnata in figure stridenti rispetto al loro tempo. Sarà per questo che, rispetto a Nico, 1988 e Miss Marx, questo è di sicuro il film più libero, solare e a suo modo gioioso dei tre. O anche il più “positivo” e il più “politico”, come dice l’autrice: delle tre figure, Chiara “è la più giovane, la più risolta, e l’unica che riesce a realizzare il proprio sogno, nonostante anche lei sia a modo suo una sconfitta”. Opponendosi tanto alla stilizzazione agiografica quanto alla formalizzazione ideologica, Susanna Nicchiarelli tenta la strada di una biografia che secolarizzi la santità di Chiara. Per farne l’icona di una femminilità identitaria tanto lucida e consapevole da apparire stridente nella sua fiera opposizione all’ascetismo piuttosto esangue e in fondo compromissorio di Francesco. In questo la regista individua un approccio che, nell’enfatizzare la questione femminile, offre a Chiara un potere iconico che traduce la classica traccia della ribellione all’asse secolare/ecclesiastico in una più attuale valorizzazione della differenza “di genere” opposta all’oscurantismo della società maschile.

 

 

Ogni elemento, nel film della Nicchiarelli, è finalizzato a una articolazione ideale della parabola di Santa Chiara: lo spostamento del baricentro identitario del francescanesimo dal rifiuto della dimensione mondana alla questione dell’accettazione di una regola con approvazione papale, comporta un approccio storicistico alla raffigurazione della spinta spirituale e caritatevole su cui si basava la rivolta di Francesco e dei suoi fratelli e sorelle, che la regista non sembra in realtà voler sposare sino in fondo. La rappresentazione dei miracoli della santa, per quanto tarata su un realismo d’ispirazione bressoniana che ne tempera l’afflato spirituale, resta un punto nodale del film, perché obietta l’immediatezza del potere temporale della ribellione della giovane donna, affidandosi agli strumenti classici dell’agiografia di una santa. Sulla stessa linea raffigurativa si muovono le coreografie che punteggiano la narrazione del film, a rischio di inghirlandare con un birignao medievalistico la pulizia storicistica della rappresentazione. Nella sua libertà e determinazione, Chiara sembra purtroppo mancare di un baricentro espressivo che ne stabilizzi gli elementi e temperi simbolicamente la sovraesposizione della questione identitaria femminile, che sembra prendere il sopravvento nell’economia del film con un’ingenuità che non ci si sarebbe aspettati da una regista con le qualità della Nicchiarelli. L’emaciata inconsistenza della figura di Francesco (Andrea Carpenzano) così come la grossolanità della raffigurazione di Gregorio IX (Luigi Lo Cascio) si oppongono alla netta presenza scenica di Chiara, alla quale Margherita Mazzucco riesce a dare una bella agilità espressiva, che contribuisce non poco a liberare il film.