Shogun, amore e… merda: a Rotterdam2023 Okiku and the World, di Sakamoto Junji

Dove finiva la merda degli shogun, si chiede ironicamente Sakamoto Junji all’inizio di Okiku and the World. E trattandosi di una storia in cui si parla proprio del livellamento tra alto e basso nella società nipponica della seconda metà dell’800, la domanda non è solo ironica. È infatti una piccola storia del Giappone, quella raccontata da Sakamoto Junji in questo suo nuovo film, presentato in Big Screen Competition a Rotterdam 2023. Ed è anche una storia d’amicizia e di amore, narrata dal basso, dalla fine dell’era Edo, ovvero alla fine dello shogunato, quando la struttura feudale del Giappone si andava esaurendo e la società vedeva cambiare gli equilibri di forza, a iniziare dal potere dei samurai che andava scemando. Ne sa qualcosa Okiku, la gentile figlia di un samurai che ormai è un ronin senza padroni, decaduto nella gerarchia sociale: vive a Edo, che un giorno è destinata a diventare Tokyo, ma per ora è una fangosa raccolta di case che l’imminente fine dello shogunato sta facendo decadere dallo status di capitale opposta all’imperiale Hokkaido. La forma adottata da Sakamoto Junji è quella della commedia storica e offre un quadro sociale molto preciso dell’epoca, raccontando attraverso la storia di figure minori una fase cruciale della storia nipponica. La prospettiva degli escrementi, giocata dal regista con una impagabile gentilezza scatologica, non è solo ironica o figurata, dal momento che serve a dislocare al basso la questione della scansione delle relazioni sociali, così cruciale nel Giappone classico.

 

 

Ed è riparandosi dalla pioggia davanti alla latrina comune che i tre protagonisti del film si ritrovano: Okiku, che è pur sempre la figlia del samurai, non vorrebbe che il suo nome fosse fatto in quel posto sporco e maleodorante, ma è qui che il suo sguardo incrocia per la prima volta quello di Chuji, il giovane aiutante di Yasuke. I due vivono raccogliendo lo sterco umano dai pozzi neri delle case e rivendendolo ai contadini del circondario. Lavoro infame ma necessario, che i due praticano con rassegnazione e filosofia, un po’ come con rassegnazione e distacco la gente di Edo accetta la puzza che si portano dietro. Infondo quelle feci completano un circuito organico che è anche un circuito sociale, unificando l’alto e il basso, il ricco e il povero, il fortunato e il disgraziato. Sakamoto Junji utilizza la metafora fecale con ironia e classe, scegliendo il bianco e nero come linea cromatica basilare, ma con rapidi, garbatissimi cedimenti lirici a tenui colori, in chiusura di ogni capitolo che scandisce la narrazione storicizzando sottilmente le fasi della fine dello shogunato, dal 1860 in poi. L’impianto del film tiene insieme la dolcezza rivolta al basso dei quadri storici di un maestro come Yôji Yamada (The Twilight Samurai) con la disparità drammaturgica tra alto e basso adottata da certo Akira Kurosawa, ma anche con il gusto per il melodramma sociale in transito sulle mutazioni che è appartenuto ai ritratti femminili di Naruse. Ma Okiku and the World è in realtà un oggetto dotato di una purezza tutta sua, trovata nella semplicità umanistica con cui guarda il destino della sua eroina, che seguirà il declino del padre ma avrà la forza di non subirne la fine come un’onta, nonostante la ferita che segnerà per sempre la sua vita. Accanto alla sua storia c’è quella dei due concimatori, Yasuke e Chuji, figure dotate di un approccio filosofico all’esistere che viene loro dalla capacità di vedere il mondo livellato nella sua natura essenziale. La loro amicizia è un sentimento forte, che determina la verità di una relazione umana concreta e che consente allo scenario complessivo di trovare una ratio sociale tutta nuova. Quella stessa che porterà Okiku a vincere la sua ferita e a innamorarsi di Chuji, facendo un primo passo che non è certo facile né abituale per una donna nel Giappone del 19mo secolo. Sakamoto Junji del resto lo ricordiamo come l’autore di film come Tokarefu o Knockout e ci ha abituato ai suoi personaggi esterni agli schemi da cui sorgono, dotati di una umanità tutta loro, fatta di ironia, sentimento e determinazione: bello ritrovarlo così in forma.