ArteKino Festival – Crai nou di Alina Grigore e le dinamiche familiari disfunzionali

Mettere a fuoco. Questo sembra essere il tema portante di Crai nou (Blue Moon), opera prima della regista rumena Alina Grigore, anche autrice della sceneggiatura, che dopo aver vinto il Festival di San Sebastián 2021  ha continuato a mietere premi, aggiudicandosi quello per miglior film della 23 edizione sezione Nuove impronte del ShorTS International Film Festival oltre che il premio del pubblico. La ventiduenne Irina (una bravissima Ioana Chițu) e la sorella Vicki (Ioana Flora) vivono con gli zii e i cugini in una zona montuosa della Romania dove aiutano nella gestione di un hotel. Pur non avendola scelta, la famiglia, con le sue dinamiche ricattatorie, è il loro habitat naturale. Mentre Vicki serve ai tavoli, Irina – che ama la geometria – si occupa della contabilità, in particolare aiutando il cugino Liviu (Mircea Silaghi) – che non riesce a controllare i suoi violenti impulsi e si comporta come se le due cugine fossero di sua proprietà – nei conti e nei rapporti con i fornitori. Liviu è dislessico e per questo la famiglia gli ha fatto lasciare la scuola, mentre il sogno di Irina è andare a Bucarest per iscriversi all’università e continuare gli studi. Ma la famiglia sembra di tutt’altro avviso e pur non ostacolando apertamente la ragazza, lo fa in una maniera molto più subdola, facendo leva sul suo senso di colpa, sul fatto che lì si vive bene e ci sono molte faccende da sbrigare, prospettando – come fa il padre che di tanto in tanto si manifesta – un trasferimento a Londra dove ci sarebbe anche il fratellastro e non sarebbe sola o lasciando cadere  – come fa l’inesistente madre in una delle rare visite – che studiare non serve a nulla. Una dinamica in atto da tempo che si è consolidata tanto che Irina, nel corso del film,  ridimensiona il suo sogno finendo per parlare solo di Bucarest e non accennando più agli studi. Un continuo tarpare le ali (come ben suggerisce la locandina del film) che sembra aver fatto presa.

 

 

Oltre che della famiglia Irina è vittima, suo malgrado, degli eventi: a una serata ad alto tasso alcolico si sveglia a casa dell’amica non sapendo con chi ha passato la notte. Dopo aver scoperto che si tratta di Tudor, un attore sposato e con figli che non conosce, decide di incontrarlo per sapere cosa sia successo. Finirà per chiedergli di baciarla dando inizio a una relazione senza prospettive e su cui, alla fine, sfogherà la sua rabbia repressa mettendo in atto la sua vendetta verso l’unico uomo che con lei è stato chiaro fin dall’inizio. La regista sceglie di non esplicitare troppo il passato, a parte il riferimento all’incidente nel lago accaduto anni prima con protagonisti Irina e Liviu, lasciando intuire che in questa famiglia, specchio della società, le donne finiscono per accettare una violenza diffusa, da cui difficilmente riescono a staccarsi e che fanno propria. Grigore tallona i personaggi in lunghi piani sequenza, stando loro molto addosso, utilizzando la camera a mano e immergendo lo spettatore in una realtà fatta di litigi, grida, sangue, segreti e verità nascoste, optando nei momenti salienti per il fuori fuoco in modo tale da confondere le carte in tavola. In questa situazione, non resta che la fuga. Meglio se di notte, al chiaro di luna. Ma non è scontato che ci si riesca a liberare del giogo.

 

 

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