Sognando il realty show: a Cannes77 Diamant brut di Agathe Riedinger

Luce di periferia, quella un po’ accecante della controra, sporca come i terreni e i corsi d’acqua che tagliano i caseggiati in cui si muove Liane, la protagonista di Diamant brut, opera prima della francese Agathe Riedinger in Concorso a Cannes77. L’approccio è realistico, ma la presa diretta sull’adolescenza al tempo dei selfie non è proprio a grado zero: c’è un po’ di spazio della rappresentazione in questo film che del resto nasce come versione lunga di J’attends Jupiter, il cortometraggio con il quale la regista si era imposta qualche anno fa e che raccontava sostanzialmente la stessa storia, solo con uno stile un po’ più impostato. Diamant brut cerca invece una linea più immediata, traccheggia tra pedinamento e rappresentazione, affidandosi molto alla presenza flagrante e intensa della giovane protagonista, l’esordiente Malou Khebizi, pura energia di periferia. È lei a dare materia grezza a Liane, la diciannovenne che cerca la sua via inseguendo il sogno di un reality show: la casting director l’ha chiamata, le ha annunciato che ha passato la prima selezione, le dice di tenersi pronta e di lavorare bene sul suo profilo Instagram perché i followers hanno il loro peso nella partita.

 

 
La sorellina la emula, la madre la ignora, le amiche la sostengono. Lei guarda il suo mondo con una partecipazione disillusa: non c’è distacco nel suo atteggiamento e nemmeno rancore, ma solo la consapevolezza che può contare solo su se stessa. È anche per questo probabilmente che non dà troppo seguito nemmeno alla possibile storia d’amore con un ragazzo che sembra amarla sinceramente sin da quando si sono conosciuti nel centro di accoglienza dove i servizi sociali e le famiglie li hanno parcheggiati per una parte della loro infanzia. Agathe Riedinger conosce la materia e la sviluppa con un’empatia che però non manca di tenere una certa distanza valutativa: fa sentire il suo sguardo, cerca la verità ma anche le sue ragioni, insiste sul rapporto tra la dimensione reale e quella della messa in scena di sé, che del resto è il vero punto critico della storia di Liane. I colori saturi e i tagli narrativi un po’ grezzi danno conto di un approccio autentico ma non poco strutturato. Il risultato è un po’ interlocutorio, sincero ma anche stilisticamente ricercato, con modelli di riferimento ben evidenti, da Céline Sciamma a Abdellatif Kechiche per non citare che i più famosi.