Spider-Man: Far From Home di Jon Watts, superare l’ansia per non rischiare più

Ansie da prestazioni: lo Spider-Man della Marvel le conosce bene, e non ci si riferisce ai “superproblemi” della versione cartacea. Prendiamo ad esempio il “bimbo ragno” cinematografico, interpretato dal bravo Tom Holland: da un lato deve sopportare il fardello del confronto con i predecessori di Raimi (irraggiungibili) e Webb (superabili) e dall’altro ha di fronte la trappola dorata del creare un personaggio con una propria specificità, ma che abbia pure un senso all’interno dell’affollato panorama del Marvel Cinematic Universe. Con nostra grande sorpresa, il precedente Homecoming superava tutto con scioltezza, (re)immaginando un adolescente alle prese con vari poteri e problemi, all’interno di una dinamica da teen-movie utile a inquadrare “dal basso” l’universo dei supereroi. Una sorta di casta elitaria, nella cui ombra si muovevano tanto il giovane eroe che sognava il giro grosso, quanto i criminali che tentavano più che altro di sbarcare il lunario in uno scenario difficile. Al punto che la vittoria finale sull’Avvoltoio era anche una sconfitta sul versante privato per il povero Spidey. Chapeau!

Per il nuovo Far From Home l’ansia è mitigata e si vede: Peter Parker ha ancora i suoi grattacapi tipicamente adolescenziali, ma la storia ha un impatto più globale, inanella scenari in giro per l’Europa e battaglie grandiose tra la furia degli elementi, mentre l’ipotesi del Multiverso sembra quasi strizzare l’occhio al recente e bellissimo Un nuovo universo animato. È chiaro, insomma, che l’amichevole ragnetto ormai agisce ben oltre il quartiere ed è consapevole di essere uno dei pezzi grossi, specie dopo l’uscita di scena di Iron Man. A tal proposito, il timore di non essere all’altezza del mentore Tony Stark, centrale nella campagna promozionale del film, nella versione finita si rivela più che altro un cascame delle precedenti ansie, che non ha una ricaduta reale sulla sua evoluzione. Ci sono infatti almeno tre film in questo nuovo Spider-Man: per primo quello classico del supereroe in lotta contro il cattivo che segue i dettami dei fumetti originali, tra colpi di scena, cambi di fronte e, per l’appunto, grandiose scene di massa. Tutto abbastanza contorto, ma alla fine è abbastanza evidente come si voglia tentare di mascherare la fragilità di una storia molto telefonata e prevedibile nelle sue articolazioni. Poi c’è il livello più teorico e visionario, reso evidente dalla sequenza migliore del film, in cui Mysterio “scatena” le sue visioni snocciolando mondi e abbattendoli addosso al povero Spidey, letteralmente sballottato da una verità all’altra, secondo uno stile cartoonesco che ancora una volta riecheggia i miracoli delle controparti animate. Roba di pochi minuti, però, poi si torna alla “normalità” della storyline principale. Ed è un peccato, perché questo nemico povero ma che vuole passare per grandioso, in quanto maestro delle illusioni e manipolatore della realtà, è di fatto un “regista occulto” che poteva aprire praterie di senso inedite ed esaltanti, fra metanarrazione e piglio autocritico su questo universo standardizzato e sempre più autoreferenziale. Praticamente Far From Home aveva la possibilità di essere l’elemento di rottura in uno scenario di apparenze e iconografie sempre facilmente riconducibili a comode dicotomie, materia incandescente, ma decisamente per altre mani (si pensi allo Shyamalan di Glass). Il che ci porta al terzo film, che poi era la vera prosecuzione del precedente, ovvero quello che ha per protagonisti questi nemici “reietti” che reclamano solo il loro posto nel mondo, anche se in modi inaccettabili per ogni supereroe che si rispetti, tanto da scatenare il dramma. Stavolta però la vittoria “pubblica” e quella privata finiscono per coincidere, in barba ai colpi di scena dei titoli di coda, pensati anch’essi in un’ottica industriale per assicurarsi sviluppi futuri. In definitiva, così come il suo umorismo ormai forzato e fuori controllo, Spider-Man: Far From Home è l’ideale prosecuzione di Avengers: Endgame. Un film che accumula situazioni in nome della quantità più che della qualità, seminando spunti interessanti che poi ignora per concentrarsi sulle parti buone per ogni tipo di pubblico, certo com’è di essere ormai dalla parte dei vincenti. Pretendere nuove forme, nuovi contenuti e nuove possibilità è insomma un concetto ormai superato, lontano da quella casa che è il classico cinema spettacolare in grado di osare.