Su ArteKino Filthy, di Tereza Nvotová, come le verità sepolte avvelenano le anime

Lena vive la sua vita di poco più che adolescente. In famiglia le attenzioni sono soprattutto rivolte al fratello Bohdan con una evidente disabilità fisica che lo rende scontroso e scostante anche perché non vuole che si confonda la sua condizione con il ritardo mentale. Lena prende lezioni private da Robo, suo professore di matematica, giovane e aitante. Durante una di queste lezioni casalinghe Lena viene violentata dall’insegnante. Non lo dice a nessuno e vive la violenza isolandosi dal mondo. Dopo un lungo soggiorno in una clinica per ragazzi con disagio sociale conseguenza di violenze subite in famiglia, tornerà a casa e saprà riconquistare la sua vita. È alla sua seconda prova la regista trentatreenne slovacca Tereza Nvotová, figlia d’arte, madre attrice e padre regista. Filthy, tradotto dall’inglese, significa “sporco” o “sporca” e traduce lo stato d’animo di Lena, traduce la sua sensazione personale nel rapporto con gli altri dopo la violenza. Filthy è dunque la narrazione di un percorso e vuole essere anche la trasposizione di uno stato d’animo inquieto e ferito in un film in cui le immagini devono superare e sostituire la parola nello sviluppo di un racconto che diventa sempre più intimo, sempre più vissuto nel chiuso della coscienza, lontano da ogni altro interesse. Filthy sa tradurre l’incubo della violenza che modifica le relazioni, modificando radicalmente la propria vita. È proprio l’angoscia, che si sovrappone nelle sue differenziate stratificazioni, a minare nel profondo la vita e la mente di Lena. La giovane protagonista vive la violenza dello stupro come la macchia indelebile che sporca la propria esistenza alterandone le relazioni, con i genitori, con il fratello, con gli amici, con l’amica del cuore maltrattata perché non comprende (ma in fondo non può perché non sa) lo stato d’animo di Lena, disturbata dalle continue allusioni sessuali con cui infarcisce i discorsi.

 

 

Lena, vive il proprio volontario abbrutimento nell’istituto di cura nel quale, invece che guarire i suoi mali, finisce con l’aggravare la propria condizione. Le pessime relazioni umane con gli altri ospiti, il grado di violenza verbale e fisica che si diffonde tra di loro e un cinismo incontrollato sulle cause del loro disagio, aggrava la condizione di Lena, vittima anche di un elettrochoc che cancella per un certo tempo la sua memoria recente. Il cinema dell’est europeo, insieme a quello del nord Europa, ha da sempre vantato una grande tradizione nel riuscire a catturare i sentimenti più silenziosi e meno vistosi delle anime dei suoi personaggi. Conscia di questo passato anche Tereza Nvotová utilizza il cinema come mezzo di scandaglio, pietra angolare per un lavoro tutt’altro che superficiale per entrare nell’animo di Lena, per descriverne il paesaggio interrotto, la sua segreta infelicità che non trova sbocco e soluzione. Lena si sente perfino colpevole di essere stata violentata, ripetendo una dinamica consueta nelle nostre comunità sociali, dinamiche che lo stesso cinema ha saputo porre nella giusta luce con il determinante e mai abbastanza ricordato Un processo per stupro di Loredana Rotondo, Annabella Miscuglio che rimarcava, l’inversione delle accuse ancorché non dettagliate e formalizzate, il sottofondo osceno di quel processo e dei molti altri che nella ripetizione di una realtà quotidiana e poco o nulla mutata continua ancora adesso.

 

 

Il passo più difficile per la giovane protagonista è proprio quello di rendere manifesti i fatti, la vicenda, in primo luogo ai genitori che, ignari, continuano ad accogliere in casa il suo stupratore come un amico, che ha anche il compito di accudire Bohdan nei suoi esercizi fisici destinati a migliorare la sua condizione. La regista attende con pazienza l’evento e con intuizione felice mette in condizione Lena di approfittare di una situazione di vantaggio dopo la fine di un allenamento in palestra. Robo armeggia con i pesi da sollevare e così come lei è stata presa in trappola e ridotta al silenzio, anche Robo sarà intrappolato non solo dalle sue colpe, ma anche dagli strumenti che utilizza per rendere più attraente la sua figura machap Lena scioglie i nodi che la inchiodavano ad una inconfessabile colpa morale, ribalta il tavolo e riporta dentro una più conforme realtà i termini della vicenda, restituendo a se stessa e al mondo quella verità mancante. Le verità sepolte generano la mala pianta che avvelena le anime.