Su ArteKino la materia del disequilibrio esistenziale in 35 Rhums, di Claire Denis

Il cinema di Claire Denis da sempre prova a catturare i piccoli mondi dell’esistenza nell’equilibrio precario della loro condizione. In questo senso il lavoro della regista francese, arricchito dalla esperienza africana frutto della sua lunga appartenenza a quei luoghi, costituisce un esempio quasi unico nel combinare elementi propri di una certa cinematografia francese, quella più rivolta verso l’indagine sui sentimenti, con l’innesto di ulteriori suggestioni di culture distanti, ma necessariamente divenute affini ancorché corrotte da quella occidentale che resta predominante. La regista francese trae ispirazione per il suo lavoro da una tradizione che si riconosce in quel pensiero liberato da ogni peso ideologico che sa catturare da una realtà così indefinibile le suggestioni per una trasposizione cinematografica che non si affidi esclusivamente ad una fitta trama di eventi. Si tratta di insegnamenti che Claire Denis ha tratto dal suo riconosciuto maestro Jacques Rivette o più tardi dalla collaborazione con Wim Wenders. Il suo cinema è diventato così uno strumento di introspezione che indaga in quella vita interiore dei personaggi alle prese con le quotidiane mutazioni imposte dal divenire della vita. È questo per lei quel fenomeno del reale che, come lei stessa afferma, si forma per i suoi personaggi attraverso il desiderio inappagato: «C’è una differenza tra ciò che vorremmo e ciò che poi accade. Nei miei film i personaggi si aspettano qualcosa dalla vita ma non sono sicuri di ottenerlo. Per me quello è il reale». In questa realtà così segnata da un diffuso senso di insoddisfazione, il suo cinema diventa lavoro sui sentimenti irrequieti e sulla ricerca di nuovi punti di stabilità.

 

 

Non sfugge a questa precarietà progressiva, che diventa costante instabilità dell’esistenza, il film del 2008 35 Rhums, visibile su ArtKino. In una Parigi del tutto marginale, dentro i confini di una metropoli invisibile e distante, il vedovo Lionel, che conducente dei treni della metropolitana, vive con Joséphine, sua figlia, che a sua volta ha una relazione difficile con il vicino di casa Noé, personaggio dalla vita instabile e sognatore di una vita lontana dalla città e dalla Francia. Gabrielle, un’altra vicina di casa che fa la tassista, è innamorata di Lionel, che sembra non volere accorgersi di questo amore sincero. L’instabilità di queste vite alla ricerca di un punto di equilibrio rimarranno tali anche dopo il viaggio in Germania di Lionel e Joséphine per una visita alla tomba della madre. Ma i tempi sono maturi per una mutazione degli assetti familiari quando Lionel capirà che la figlia è pronta ad una vita lontano da lui. Stretto dentro spazi sempre angusti, appartamenti ridotti, stanze affollate e piccoli locali di periferia, il racconto di 35 Rhums sembra quasi tratteggiato nei chiaroscuri che emergono dai silenzi dei suoi personaggi, piuttosto che dai dialoghi che conservano l’inutilità del quotidiano. Il cinema della regista francese, ancora una volta, si adatta ad un piccolo mondo che rifugge da ogni certezza, da ogni traguardo di successo, che non sia la conquista giornaliera di un difficile equilibrio tra certezze e insoddisfazioni, tra paura del presente e immaginazione del futuro. Un cinema di sentimenti anche labili, sempre incerti, se si vuole incoerenti e mai proficui per il proprio divenire.

 

 

Così sono i sentimenti di Lionel per Gabrielle, così quelli di Joséphine per Noé e così in fondo anche quelli paterni di Lionel per la figlia. Ma al contempo un cinema e un racconto in cui il bisogno dell’altro diventa riferimento essenziale per la propria esistenza. Il suo venire meno espone al suicidio per una inguaribile solitudine. Claire Denis mette in scena i suoi corpi viventi dentro la precarietà di una condizione che si consuma lentamente e, ancora una volta, i suoi personaggi viaggiano verso traguardi sconosciuti in una navigazione incerta e insicura. È forse questa assenza di verità assolute che affascina nel cinema quasi irrisolto di questa regista così isolata dentro un sistema di certezze a volte imposte e in altre occasioni urlate, è l’indefinitezza del suo cinema a diventare anche in 35 Rhums interprete di una costante incertezza che naturalmente appartiene alla vita. Il suo cinema, questo film in particolare, non lo mette in scena nel senso di far diventare questo assunto trasposizione narrativa dichiarata, ma piuttosto diventa principio ispiratore del racconto, la sua trama leggera e trasparente sembra intessuta proprio con la materia del disequilibrio costante della vita dei suoi personaggi, mai netti, mai definiti e sempre, invece, all’opposto, soggetti alle mutazioni sotto la spinta di nuovi desideri o consolidati sentimenti. 35 Rhums diventa così quasi un cinema fuori tempo, ma a ben vedere quasi in anticipo sui tempi, poiché uscito nel 2008 non ha perso neppure un filo di interesse dopo quasi quindici anni, anzi si rivela straordinariamente attuale e lo resterà ancora per molto in questi tempi di incertezza e ormai consueta precarietà esistenziale che ci appartiene.