Su MUBI i mille volti di Femmine Folli di Eric von Stroheim

Femmine folli (in streaming su MUBI) è, probabilmente, il vero film maledetto di Eric von Stroheim, quello, cioè, su cui le forbici della censura e dei produttori si sono accanite maggiormente, causando perdite irreparabili forse anche più di Greed. É con Femmine folli che ha inizio la lunga sequenza di tagli e delusioni che allontanarono progressivamente dalla regia un autore così appassionato e geniale. Dopo i grandi successi ottenuti con Mariti ciechi e il perduto The Devil’s Passkey, Stroheim cercò di mettere a frutto la sua più grande aspirazione: un film che doveva durare più di otto ore. I produttori promisero al regista libertà di azione e di spesa, le riprese si protrassero per quasi un anno, durante il quale venne realizzata una campagna pubblicitaria spettacolare. La Universal fece installare un grande cartellone a New York, con lampadine luminose che indicavano il costo progressivo del film che passò alla storia per essere costato un milione di dollari. In realtà la spesa fu decisamente inferiore ma attorno a questo episodio le leggende si moltiplicarono al punto da rendere difficile distinguere tra la realtà e la fantasia.

 

 

Il film segue le vicende di tre truffatori, il conte Karamzin e le sue due sedicenti cugine Eva e Olga, in una Montecarlo completamente ricostruita in studio. Siamo nel 1920, immediatamente dopo la Grande Guerra in un contrasto che Stroheim esaspera tra l’opulenza dei casinò e i segni evidenti e dolenti di povertà. Ai margini delle inquadrature si scorgono militari, feriti di guerra e bambini poveri e scalzi che vagano per le strade, mentre al centro, finti nobili tronfi ed eleganti tramano per estorcere denaro a veri ricchi. Stroheim si concentra su un nucleo narrativo piuttosto semplice per mettere in rilievo il reale che lo circonda: questa la strategia che tradisce la modernità di Femmine folli. Oltre alla puntuale critica verso un uomo avido e superbo, riesce con poche immagini a rendere l’idea di quanto stava accadendo in quei tempi di veloci trasformazioni sociali, con il decadimento sempre più evidente di un mondo aristocratico ormai giunto alla completa frantumazione. La simulazione e il falso sono gli elementi principali di tutto il film. I personaggi si impongono nella sontuosa messa in scena, tutta plasmata su un’ampia gestualità che conferisce loro l’aspetto di paradigmi di un’epoca e di un mondo frivolo ed evanescente. Il travestimento, nel senso più ampio del termine, assume una valenza determinante, coinvolgendo ogni aspetto di questo film sfortunato e geniale. Il conte, oltre ad essere un impostore che si finge aristocratico e si confonde in un mondo fatto di apparenza, è anche un aristocratico che si improvvisa seduttore e un seduttore che finge la rovina economica agli occhi ingenui di una ricca americana, come ennesima messa in scena, fino al completamento del cerchio in un gioco complicato e infinito di scatole cinesi. Nel vederlo muoversi attraverso le diverse situazioni, sembra quasi di avere di fronte personaggi distinti l’uno dall’altro in una divaricazione funambolica di identità che raggiunge l’apice nella perversione e nel desiderio proibito, raro momento di sincerità che, però, gli sarà fatale.

 

 

Nonostante i tagli subiti dal film in sala di montaggio, si riescono a riconoscere segni evidenti dello sguardo autoriale: l’uso articolato e discontinuo dell’illuminazione, la dimensione di attesa che si crea attorno ad ogni azione e, soprattutto, l’uso costante dei primi piani che chiamano in causa lo spettatore, coinvolgendolo come mai era accaduto prima. L’opera ridondante e visionaria del regista austriaco ricostruisce la realtà, la esaspera per conoscerla e capirne i meccanismi che la dominano più nel profondo. Un crescendo che si consuma in tutto il suo pathos nella scena finale, quando il conte Karamzin si reca di notte nella camera da letto della ragazza demente da cui è attratto: il suo desiderio di possederla nel sonno è descritto immergendo la scena in una dimensione di irrealtà, con le imposte che lasciano entrare la luce esterna senza aggiungere luminosità alla stanza, ma rompendo l’immagine in mille segmenti e imponendo un teso senso di disordine nettamente antinaturalistico. Come si è già detto, l’intero film sembra voler mettere in primo piano l’allucinazione di uno sguardo (quello dei protagonisti) che abbraccia ogni cosa, finendo per deviare in direzioni fuorvianti le linee di una narrazione solo apparentemente razionale. La logica della storia si rovescia nella illogicità della forma. In questo modo si compie il percorso circolare di un’opera sfuggente che non potremo mai conoscere né possedere fino in fondo. Un film enigmatico per la sua straordinaria ricchezza, ma anche imprendibile per lo scempio che ne è stato fatto.