Tesnota/Closeness, primo folgorante lungometraggio del ventiseienne russo Kantemir Balagov, allievo di Alexander Sokurov presso l’Università della Repubblica Cabardino-Balcaria, vuole «esplorare i sentimenti di una famiglia che apprende del rapimento del figlio e, soprattutto, ciò che i parenti NON sarebbero disposti a fare per salvare i loro congiunti». Un’esplorazione incessante, impietosa, che non ci risparmia nulla di ciò che quel NON può generare. Un’esplorazione dei territori della prossimità relazionale (sia quella familiare che quella sentimentale) evocata dal titolo e declinata in tutte le sue accezioni negative: prossimità non desiderata ma imposta, prossimità non ottenuta ma desiderata, prossimità estorta, prossimità lacerata. Un’esplorazione della coercizione e del rifiuto dunque, in cui la vicenda contraddittoria della giovane Ilana, sorella del rapito, diventa correlato asimmetrico e non risolto della vicenda contraddittoria della comunità ebraica della città caucasica di Nalchik a cui appartiene.
Pulsioni, violenze, bisogni: Balagov, che è anche co-sceneggiatore e montatore del film, non ci risparmia nulla del lato oscuro dell’affettività e della zona incomprensibile in cui essa sfocia nella sua negazione, la cui rappresentazione è tanto più perturbante in quanto incarnata nel personaggio di una madre pronta a sacrificare la figlia. Ma l’esplorazione della notte degli affetti biologici può portare nei territori dell’alba di affetti rinnovati, liberati dalle gabbie dei ruoli familiari, sociali, etnici e religiosi. Il passaggio dal buio alla luce, accompagnato matericamente dalla fotografia implacabile di Artem Yemelyanov, richiede la distruzione della tribù di appartenenza, la liberazione della forza pulsionale del singolo e infine, forse, ciclicamente porta alla migrazione e alla costituzione di nuove tribù.