TFF40 – Il paradigma fungino di The Fifth Thoracic Vertebra di Syeyoung Park

 

Syeyoung Park, regista sudcoreano classe 1996, presenta al Torino Film Festival il suo primo lungometraggio. Dopo le ottime prove dei corti Cashbag (2019) e Godspeed (2020), già vincitori di numerosi premi, con The Fifth Thoracic Vertebra (2022) vince il premio per la miglior regia al Bucheon International Film Festival e la menzione della giuria al Fantasia Film Fest. Quella al TFF è la prima italiana di questo film alieno, come alienə pare essere lə suə protagonistə: la pellicola segue infatti nascita, crescita e trasformazione di una creatura generatasi in un materasso abbandonato, che viaggia per il paese cibandosi delle vertebre delle sue vittime. In una Seoul innevata apprendiamo di trovarci 538 giorni prima della sua nascita. Una giovane donna trasporta nell’appartamento del fidanzato un materasso che reca l’etichetta “Fantastica combinazione di scienza del sonno e ingegneria umana”. I giorni passano, il materasso accoglie ciò che il trascorrere del tempo, i corpi, la vita, lasciano su di esso. Quando la coppia si lascia l’entità fungina continua a crescere, alimentata dalla miseria e dalla disperazione di coloro che vi entrano in contatto, siano essi amanti infelici, malati o trasportatori.

 

 

Atmosfere cronenberghiane si mescolano a mutazioni tsukamotiane e a vagabondaggi glazeriani. Syeyoung Park sfrutta al meglio un mix sonoro che dà voce a tutto ciò che si annida all’interno del materasso: brontolii, gemiti ghiaiosi, cupi soffocamenti, affannosi respiri, permettendoci di osservare ciò che ondeggia nelle sue viscere. I primi piani estremi conferiscono un’intimità opprimente ai momenti di sofferenza degli esseri in cui si imbatte. La creatura nel materasso ne è attratta ma sembra anche desiderare un contatto che si estende oltre l’agglomerare vertebre. Il film è costruito attorno alle immagini. Ogni fotogramma potrebbe vivere come opera a sé stante, quadri in una galleria d’arte. Magistrale l’utilizzo del fuori fuoco e delle dissolvenze incrociate. La fotografia cattura un senso di decadenza e al contempo di rigenerazione. “Vita nascosta! Ecco la speranza della risurrezione!” recita un poster nella stanza d’ospedale di una delle vite che la creatura incontra e che per prima dialoga con lei.

 

 

La qualità onirica dell’intero film – corroborata dalla carrellata finale [484.498 giorni dopo la nascita] che scivola sull’enorme collezione di funghi in cui si è trasformato il materasso, ultimo (?) stadio della sua evoluzione – schiude in riflessioni sulla sofferenza umana nell’era del cambiamento climatico e del disastro ecologico. È possibile la coesistenza tra umani e non umani all’interno delle perturbazioni ambientali create dall’antropizzazione della natura? «Dovremmo provare a guardarci attorno e osservare questo nuovo mondo, e dovremmo ampliare gli orizzonti della nostra immaginazione fino ad abbracciarne i contorni. E qui ci vengono in soccorso i funghi», sostiene Anna Lowenhaupt Tsing ne Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo (testo del 2015, pubblicato in Italia da Keller nel 2021), opera che ha segnato il più recente dibattito antropologico individuando nei funghi e nelle loro caratteristiche un paradigma epistemologico in sé e che ci pare costituire una delle fonti ispirazionali del film di Syeyoung Park. Un forte legame con la contemporaneità, una narrativa anticonvenzionale e una inquietante originalità fanno di The Fifth Thoracic Vertebra un’eccellente prova di regia per un autore da continuare a seguire.