«Soldier boy, oh my little soldier boy» intonano le voci soavi delle Shirettes, band statunitense R’n’B degli anni Sessanta, mentre scorrono davanti ai nostri occhi le immagini di Riotsville, USA, ultimo documentario di Sierra Pettengill in concorso al 40° Torino Film Festival. Siamo nel 1967, annata “calda” in cui la storia americana si riempie di importanti movimenti politico-sociali attraverso gesti di protesta pubblica e (ça va sans dire) in pieno conflitto con le forze dell’ordine diventate sempre più militarizzate. Per arginare questi atti ritenuti altamente pericolosi e irriverenti, la commissione guidata da Otto Kerner (voluta dall’allora presidente Lyndon B. Johnson) mise in piedi con l’aiuto dell’esercito vere e proprie cittadine (sulla scia dei più comuni set cinematografici da western) rinominate “Riotsville”, in cui le forze dell’ordine venivano addestrate su come rispondere (o meglio, reagire) ai disordini civili che stavano sempre più espandendosi all’interno del Paese.
Sierra Pettengill non è una sprovveduta e si vede grazie all’interessante lavoro d’archivio che mette in piedi (il documentario è stato realizzato tra il 2015 e il 2021). Effettivamente, Riotsville, USA pone l’accento su un discorso di reazionarismo d’oltreoceano ossessionato dal controllo, dal mantenimento dell’ordine sociale con ogni soluzione necessaria (gustosa, tra l’altro, la sequenza in cui i poliziotti insegnano ad alcune signore ingioiellate come impugnare una pistola e tirare al bersaglio); e, infatti, il dialogo che attua non è affatto distante dalla nostra attualità contemporanea se pensiamo ai recenti episodi di razzismo che hanno investito l’opinione pubblica mondiale, fin dall’istituzione del Black Lives Matter nel 2013. Pettengill vuole esplicitamente collegare le similarità tra generazioni del passato e del presente appunto per sottolineare quanto ancora oggi il controllo istituzionale americano sia fortemente marcato all’interno del pensiero politico con un prodotto sì canonico nella forma, ma estremamente prezioso nel contenuto: una voice over asettica si pone in netto contrasto con gli audio gracchianti reperiti e utilizzati, così come le sbavature dei filmati d’epoca e i terribili frastuoni delle ribellioni bollenti che scandiscono il Sessantotto afroamericano. Pettengill (ri)elabora un tema nobile estraendo verità inconfutabili in cui l’ultima parola è dello spettatore, perché solo le immagini possono raccontare quello che, a tutti gli effetti, si rivela un passato tremendamente vicino al nostro presente, come la stessa autrice afferma: «Con tutta la violenza e le potenzialità che contiene, Riotsville, USA non potrebbe essere più attuale». L’epoca di Nixon, Reagan, Strom Thurmond è lontana solo fisicamente.