TFF41- I cuori in fiamme di Il cielo brucia di Christian Petzold

Christian Petzold, tra i nomi più in vista delle Scuola di Berlino, è un regista dalla carriera ormai consolidata: ha partecipato al Festival di Berlino nel 2005 e nel 2007 con Gespenster e Yella, alla Mostra di Venezia nel 2008 con Jerichow; nel 2014 ha ottenuto grande successo con Il segreto del suo volto, presentato ai festival di Toronto, Roma e San Sebastián; nel 2023 Il cielo brucia ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale, presentato in questi giorni fuori concorso alla 41a edizione del Torino Film Festival. «La genesi di Roter Himmel – dichiara Petzold – deriva da una domanda che mi sono posto:”Che cosa è successo da altre parti?”. Gli americani, i francesi e gli svedesi – come Ingmar Bergman con Monica e il desiderio – hanno tutti dei film estivi, che sono importanti. Nei film estivi non c’è alcuno Stato, non ci sono genitori, non c’è nessuna fabbrica. Assistiamo a una sorta di pausa nell’esistenza e all’interno di questa sospensione si prendono decisioni cruciali. La posta è importante; a volte fai la scelta sbagliata e a volte quella giusta». Si tratta dunque di un film estivo, la cui storia si svolge fuori dal mondo o meglio ai limiti del mondo tedesco, a ridosso di una spiaggia del Mar Baltico, in una casa in mezzo a un bosco in cui si rifugiano due giovani amici, un’accoppiata svagatamente psicodrammatica che ricorda quella di Persona (1966) dello stesso Bergman e quella di Nella casa (2012) di François Ozon: uno scrittore che sta scrivendo nevroticamente il suo secondo romanzo, e un artista che prepara svogliatamente un portfolio fotografico per entrare in una scuola d’arte.

 

 

La mania del controllo del primo si confronta e si scontra con la pigrizia del secondo, presumendo erroneamente di avere la meglio. A complicare le vicende della creatività dei due sopraggiungono una bellissima ragazza che vende gelati in riva al mare, ospite anche lei della casa di proprietà della mamma dell’artista, e il prestante bagnino della spiaggia vicina alla casa. Si innesca qui una tragicommedia degli equivoci, dove ognuno viene scambiato per ciò che non è: la gelataia, che non è una gelataia ma una dottoranda in lettere, non è la fidanzata del bagnino, che invece si fidanza con l’artista, lasciando lo scrittore alle prese con la dottoranda… Attorno a loro si muovono, prima a distanza di sicurezza, poi sempre più vicine, le fiamme incontrollabili degli incendi estivi che stanno funestando i boschi della regione e rendono il cielo rosso, come dice il titolo del film. La metafora è semplice ed efficace: mentre fanno i conti con la minaccia delle fiamme esterne a loro, i personaggi si trovano a fare i conti con le fiamme che divampano nei loro cuori e nei loro corpi. L’artista ha gioco facile nell’accogliere la fiamma della propria omosessualità, curiosamente accesa dall’acquatico bagnino. Con più attrito e sofferenza lo scrittore accoglie la fiamma accesa dalla gelataia/dottoranda, che lo mette in difficoltà proprio perché in grado di tenergli testa o semplicemente di interloquire alla pari sul piano della scrittura letteraria, ma soprattutto il divampare di quella fiamma è ostacolato dalle incrostazioni vischiose del narcisismo di lui, che lo rende poco sensibile agli altri.

 

 

Prosegue il regista: «l’amore è uno dei fattori in gioco, anche se a volte quell’amore può rivelarsi solamente un malinteso. Noi tedeschi abbiamo perso la nostra estate. Insieme agli attori ho meditato sui film estivi tedeschi e sui motivi per cui, in quelli contemporanei, siano sempre presenti figure genitoriali, fabbriche e rappresentanti delle forze dell’ordine. Non godiamo più della nostra libertà». Dunque l’intento di Petzold, che del film è anche sceneggiatore, è quello di liberare i suoi personaggi da ogni condizionamento e  lasciarli da soli con le loro fiamme e in definitiva con se stessi. La conclusione però è poco prevedibile perché, come accade anche nella vita, non è detto che chi prima lascia divampare le proprie fiamme sia poi in grado di tenerle vive a lungo…