Primo lungometraggio di finzione del giovane regista russo Ilya Povolotsky, già presentato alla Quinzaine des Cinéastes a Cannes 2023, Grace è una delle sorprese tra i film in concorso alla 41a edizione del Torino Film Festival. Chi è la Grace indicata del titolo? Non ci è dato saperlo perché i personaggi del film non hanno nome. Mancano i nomi propri, ma il titolo non dà senso neanche se letto come nome comune. Non c’è grazia in nessun angolo del film di Povolotsky, semmai la sua intenzione sembra essere quella di rappresentare una terra disgraziata, la Russia post sovietica, dove i rapporti umani sono subordinati agli interessi, dove le donne sono solo strumento di piacere sessuale degli uomini, dove la natura può essere (è stata) devastata senza alcun riguardo, dove le vite degli altri vengono messe in pericolo con indifferenza. Una terra senza grazia perché senza scrupoli e senza morale. Su questo sfondo, in un silenzio quasi integrale che disorienta e a un certo punto imprigiona personaggi e spettatori, un padre taciturno e una figlia adolescente vivono in un malandato furgone rosso che contiene i loro averi, tra cui un’urna funeraria (contiene le ceneri della moglie/madre?) e l’attrezzatura per proiettare film all’aperto in paesini dispersi della Russia, fonte di sostentamento della coppia.
Ma il cinema itinerante non è un pretesto per rievocazioni nostalgiche o citazioni postmoderne o compiaciuti atti devozionali verso la settima arte. Al contrario. Dei film proiettati non vediamo quasi nulla, mentre vediamo la miseria di chi li va a vedere in cerca di svago. E il linguaggio cinematografico usato da Povolotsky è di un rigore quasi assoluto: inquadrature fisse e prolungate, campi lunghissimi, fotografia desaturata, montaggio scarno. Gli unici momenti di cinèsi (e dunque di cinema) sono affidati alle poche panoramiche che ci fanno scoprire lentamente in un paesaggio vuoto, immobile, desolato, un personaggio o un oggetto in transito, in entrata o in uscita, che sospinge un istante l’azione, la increspa, senza portarla da nessuna parte. Solo a pochi minuti dalla fine scopriamo di aver assistito a un romanzo di formazione al femminile dove la protagonista adolescente, che nel primo frame è alle prese con la prima mestruazione, riesce a collocare nella sua vita raminga e senza guida i due principi essenziali che regolano ogni vita, eros (sperimenta il sesso per la prima volta con un ragazzo incontrato per caso) e thanatos (lasciando finalmente andare i resti: della madre morta?).