Nella vita di Rezvan e Sana c’è la norma e c’è la normalità: sono le figlie di Iman, che è stato appena eletto giudice istruttore, ed è proprio questa agognata promozione, comunicata alle ragazze con una certa severità dalla madre Najmeh, a cadere sulle loro teste come una scure, che taglia a metà le loro esistenze e trasforma la normalità alla quale sono abituate nell’impero della norma. Siamo a Teheran nel 2022, l’anno dell’uccisione di Jina Amini per mano della polizia religiosa e delle conseguenti rivolte di piazza, e Rezvan e Sana sono le protagoniste di The Seed of the Sacred Fig, il film girato in clandestinità da Mohammad Rasoulof, col quale il regista iraniano è infine giunto a Cannes77 da esule, in fuga da una condanna a otto anni di carcere. Nel 2022 di cui racconta nel film, Rasoulof però in carcere ci stava – era in isolamento nella prigione di Evin per detenuti politici e intanto fuori gli studenti scendevano in piazza per Jina e subivano la repressione delle autorità. Ecco, dev’essere proprio questa opposizione tra dentro (le case, le aule, le prigioni) e fuori (le strade, le piazze, le scuole) ad aver in qualche modo suggerito a Rasoulof la storia di The Seed of the Sacred Fig. Che è basata proprio sulla distorsione tra la normalità dello spazio privato, affettivo, personale e la norma della vita pubblica, esposta alla valutazione, al controllo, alla regola dei comportamenti… Per Rezvan e Sana la vita non è poi così complessa: in casa sono due ragazze qualsiasi, coi loro cellulari, i capelli, i vestiti, le amiche. È fuori di casa che la norma si impone, soprattutto ora che il padre è un giudice, le ammonisce la madre: devono fare attenzione a come vestono, dove vanno, chi frequentano, cosa postano sui social. E poi c’è quella pistola, perfetto MacGuffin, che il padre ha avuto in dotazione e che ha portato in casa, autentico switch che commuta la normalità della famiglia nella norma paterna.
[SPOILER>] Di lì in poi tutto cambia, perché intanto in piazza i ragazzi si rivoltano e il loro sangue scorre sino all’appartamento dell’ignaro Iman, portato da Sadaf, amica delle figlie, pestata a scuola della polizia religiosa… E questa è la seconda violazione della normalità domestica ad opera della violenza della norma. E non è nemmeno tutto, perché poi quella pistola portata da Iman non può certo tradire la regola cechoviana, anche se il suo ruolo non sarà tanto quello di sparare, quanto di sparire… Una mattina, infatti, Iman si sveglia e l’arma non c’è più: chi l’ha presa? Rezvan o Sama, che dicono di non conoscerne nemmeno l’esistenza? O la loro madre, Najmeh, che quando l’ha vista ha avuto persino orrore di toccarla? O forse Iman, nella tensione di quei giorni, l’ha persa e non ricorda più dove? Il fatto è che questa sparizione è anche la terza violazione della normalità domestica che segna la storia: la più grave, perché porta letteralmente dentro casa il terrore che vige fuori, l’imposizione dell’ordine con la violenza e la sopraffazione, psicologica e fisica. Iman teme per la propria carriera e per la propria onorabilità e porta in casa quel carnefice senza scrupoli che è diventato nel mondo di fuori, poco importa se deve adottare i suoi metodi sulla moglie e sulle figlie… [<SPOILER]
Quello che segue è una sorta di thriller che sta tra Costa-Gavras e Yilmaz Guney, con una volata finale fuori dal mondo contemporaneo che Rasoulof spinge non a caso nella provincia più arcaica, nelle avite terre in cui la norma diventa quasi un totem di argilla che non dà necessariamente la risposta attesa dai padri. I quattro movimenti del film fanno di The Seed of the Sacred Fig una narrazione dalla progressione determinata, anche troppo netta nella metafora. Laddove Rasoulof cerca l’ambiguità, resta un po’ tradita la capacità di dare sostanza alle figure delle figlie. Il regista pare troppo preso dal definire l’ossessivo incedere nella paura e nella persecuzione del padre, sino alla paranoia, e gli sfugge l’articolazione del contraltari. L’innesto delle scene dei massacri di studenti da parte della polizia circolate sui social ovviamente apre il film alla realtà, sganciandolo dal labirinto psicologico in cui si aggira. Ne deriva un film potente e intrigante, che stigmatizza le colpe di un paese in cui padri e figli non si riconoscono più. The Seed of the Sacred Fig non è il film migliore di Rasoulof, ma è un’opera importante che il Premio Speciale assegnatogli a Cannes77 valorizza perfettamente.