Tokyo Vampire Hotel – Sion Sono e la maniera dell’eccesso

Batte bandiera Amazon la nuova miniserie horror presentata al Torino Film Festival sotto forma di lungometraggio da 142 minuti: a dirigere c’è Sion Sono, che garantisce la puntuale dose di folle originalità, subito sbandierata nel lungo prologo. Ritroviamo così i marchi di fabbrica dell’autore giapponese, dal sangue versato con generosa veemenza attraverso stragi nei locali pubblici, ai duelli all’arma bianca, fino al fulcro narrativo vero e proprio, una millenaria faida vampirica che oppone il clan transilvano dei Dracula a quello nipponico dei Corvin, con la sventurata Manami a fare da oggetto del contendere in quanto nel suo corpo asiatico scorre il sangue dei succhiasangue rumeni. Impossibile dopotutto ricostruire un plot che sembra rifiutare ogni linearità, un po’ per scelta, un po’ per seguire quella che sembra un’ispirazione decisamente estemporanea, e un po’ perché l’ensemble sembra voler tentare di convincere un pubblico più trasversale possibile, affamato di yakuza eiga, chanbara eiga, vampirismo classico e parabola young adult. A interessare è soprattutto il dove si svolge la faida, ovvero l’eponimo hotel che – giusto per non farci mancare nulla – è anche un organismo vivente che divora l’umanità che vi alberga: ovvero quella in fuga dall’Apocalisse che si sta consumando all’esterno… forse.

 

Siono schiaccia il pedale dell’acceleratore per mettere in fila i tasselli del racconto e lasciare poi spazio alle interminabili battaglie in salsa splatter, seguendo una maniera che ormai si palesa con preoccupante evidenza, nel tentativo di continuare ad assecondare e al contempo sconvolgere il pubblico dei fedeli. Sullo sfondo si palesa ancora l’intento autoriale di raccontare un’umanità in disfacimento per colpa degli interessi particolaristici e che perciò risulta incapace di stabilire una comunicazione che metta in crisi la dicotomia fra vampiri e umani e fra i clan stessi. Nel tentativo di far trionfare la propria visione, il tutti contro tutti diventa l’unica soluzione possibile, mentre nel piccolo troviamo i segnali di una possibile alternativa. A compiere la classica parabola da racconto di formazione sono infatti la già citata Manami e K, l’amica di cui rivivremo il passato, i traumi e il forte sentimento e i tradimenti… forse anche stavolta, data la confusione dell’insieme. Nell’estenuante gioco d’azione e orrore, a giocare una carta interessante c’è appunto lo scenario, l’hotel-corpo che sembra uscito dalle visioni surrealiste di un José Mojica Marins, per la capacità di farsi scenario interiore eppure esteriore delle pulsioni sessuali e carnali dell’umanità. Segno di quanto Sono, mentre gioca, prenda a cuore il suo messaggio di conciliazione. Ma sono solo cascami di una autorialità qui più annacquata del solito, buona solo per i fedelissimi. Resta da capire se la fruizione in forma di miniserie vera e propria (in tutto dovrebbero essere nove puntate) riuscirà a conferire maggiore coerenza alla storia, permettendo agli spunti più meritevoli di emergere con maggiore lucidità fra gli eccessi sanguinolenti e il divertimento per gli assatanati del pulp.