Torino 38 -Testimonianza di verità in The last hillbilly, di Diane Sara Bouzgarrou e Thomas Jenkoe

Hillbilly è una parola intrappolata nel passato…è una parola che non porta con se molto futuro…
Dai dialoghi del film

 

C’è tutto un nuovo cinema che ha la forza e il magnetismo adatto ad attrarre nelle sue immagini l’essenza ancora non del tutto emersa, nonostante le letterature, le musiche e il cinema, di un’America del tutto marginale e dimenticata, un’anima ancora non corrosa da un modernismo necessario. Un’America cruda come certi versi di Springsteen, autentica come certe immagini che Diane Sara Bouzgarrou ci regala in questo The last hillbilly, un’opera che tra poetica consistenza di un passato non più ripetibile e un futuro occluso da una fragile consistenza del presente, ci porta negli Appalachi, in quel Kentucky orientale in cui ancora, come sopravvissuti, vive una comunità di contadini e bovari, quegli hillbilly che è diventato sinonimo di zotico, cafone e montanaro. Il film è diviso in tre capitoli che accentuano la sua natura poetica e al tempo stesso rimandano ad una specie di misticismo di cui sono intrise le parole del suo protagonista, portano titoli evocativi “Sotto l’albero genealogico”, “La terra desolata” e “Terra di domani”. La macchina da presa di Diane Sara Bouzgarrou e Thomas Jenkoe, segue Brian Ritchie che diventa il protagonista quasi solitario di questa avventura fatta di assoluta solitudine e di un profondo pessimismo sul futuro. Lui e la sua famiglia abitano da sempre quei luoghi oggi senza prospettive, ma un tempo sito di fiorenti miniere di carbone. La crisi economica, la chiusura delle miniere, i disastri ecologici hanno prodotto una violenza sociale che ha ancora di più isolato i luoghi e gli ultimi hillbilly, gli ultimi zoticoni ignoranti vivono lentamente il declino di una civiltà rurale.

 

 

I due autori non nuovi al mondo del cinema, ma nuovi a questo tipo di esperienza, hanno consegnato un ritratto immediato del disilluso Brian – l’ultimo ragazzo libero d’America, come egli stesso si definisce – un film che nella sua secca essenza sa essere duramente elegiaco, capace come è di guardare ai resti disadorni di una collettività frantumata che ricerca quel tratto identitario che gli apparteneva e che oggi sembra definitivamente scomparso. L’identità è il tema ricorrente del film, quella perduta e quella alla quale non si può appartenere. Brian e la sua famiglia sembrano dei senza terra, degli homeless privi di ogni futuro. Bouzgarrou e Jenkoe compongono un film cupo, che nulla concede ad una bellezza immaginaria della montagna, ma sembra doverne trarre la ruvida consistenza delle cortecce degli alberi. Nessuna finzione, nessuna concessione, nessun orpello che abbellisca il tratto umano e poeticamente scorbutico di Brian, che in una lunga e iniziale confessione mette a nudo le sue angosce sul futuro, la sua identità polverizzata e il senso profondo di uno stare al mondo senza speranze. La terra desolata diventa questo pezzo di Stati Uniti così lontano da ogni clamore politico e da ogni modernità tecnologica. Basterebbero a segnare questa differenza le immagini iniziali con la voce fuori campo di Brian che racconta della morte dei cervi bruciati dalla sete. Una sequenza che sembra farsi icona di questa lenta diseredazione e sfinita esistenza che gli Appalachi del Kentucky offrono a questi ultimi e malinconici hillbilly.

 

 

È questo cinema, che silenziosamente sembra farsi strada, che in questi anni ha saputo raccontare, nello specchio riverso di una realtà sfuggente, ma addirittura invisibile, questa umanità che sembra essere testimone di un passato che ancora continua a viverci accanto e di cui non vogliamo sapere nulla. Ma è questo film, a ricordarcelo, come ce lo hanno ricordato i film di Lee Ann Schmitt o come ce lo ha fatto venire in mente certe immagini di Bill Morrison, un cinema che come tanto altro appartiene a quell’indipendenza così preziosa e che sa incrociare la vita dei luoghi con quei sentimenti di aspra malinconia che abbiamo ritrovato nelle decine di pagine disperse tra i versi e i brani di prosa, di quell’America che non vuole farsi dimenticare, che come Brian, quasi fordianamente, resiste all’attacco di questa sgangherata diligenza che è quella vita. Vita difesa con l’eroismo di una non risarcibile solitudine. Il cinema di Bouzgarrou e Jenkoe ha saputo riportare in quelle immagini, all’apparenza neppure mediate dalla macchina da presa tanto appaiono necessarie, una dura testimonianza di verità.