Tuesday Club – Il talismano della felicità di Annika Appelin: la vita ricomincia a 60 anni

Il giorno del quarantesimo anniversario di matrimonio, Karen (Marie Richardson) scopre da un messaggino sul cellulare che il marito Sten (Björn Kjellman) la tradisce. Quello che è stato tutto il suo mondo fino a quel momento, cade a pezzi. Mentre il marito – che si è rotto una vertebra arrampicandosi sulla veranda per dimostrare la sua prestanza fisica – è ricoverato in ospedale Karen abbozza, trattenendo la rabbia. Inizialmente non si confida con nessuno: certo non con la figlia Fredrika (Ida Engvoll), quarantenne viziata che vive nel mito del padre e che dà per scontata la madre, ma nemmeno con la migliore amica Pia (Sussie Eriksson). Sarà l’incontro casuale con Monica (Carina M. Johansson), una vecchia compagna di classe giramondo tornata in Svezia per occuparsi della madre malata, a farle rivedere le sue priorità. È seguendo lei, e coinvolgendo anche Pia, che si iscrive a un corso di cucina orientale che si tiene il martedì sera sotto la guida dal celebre chef Henrick Moliner (Peter Stormare). Per Karen, che avrebbe sempre voluto occuparsi di ristorazione, ma aveva dovuto rinunciare per la famiglia, è l’occasione per un nuovo inizio professionale e anche sentimentale.

 

 

La sceneggiatrice Annika Appelin, al suo debutto come regista, ha dichiarato che la sua ambizione era «fare un film appassionante e divertente su tutte le “normali” donne invisibili, sulla loro amicizia e l’amore» ed effettivamente le va dato il merito di aver scelto come protagonista una sessantenne come tante che di fronte a un evento traumatico trova la forza per reagire e per reinventarsi. Un inno quindi alla resilienza, parola sempre più abusata, ma che qui trova una sua applicazione, e all’amicizia tra donne che si sostengono e si motivano in cui la Appelin avrebbe dovuto osare di più. Se il personaggio di Karen risulta credibile e ben tratteggiato, lo stesso non può dirsi per le figure di contorno che risultano poco approfondite, monodimensionali e meccaniche nei loro movimenti, come se ognuna di loro rappresentasse un problema (che magicamente trova la sua “naturale” soluzione): Monica non ha messo radici, ma finirà per vivere una maternità surrogata con la figlia immatura di Karen; Pia, la separata con un pessimo rapporto con ex marito e figli, arriverà alla riconciliazione finale; il burbero chef che va avanti e indietro dal Giappone; il marito pieno di pretese e di attenzioni senza il coraggio di troncare pur avendo un’amante a cui non riesce a rinunciare; la troppo rigida figlia… Tutto troppo detto e poco agito in questa commedia romantica a sfondo culinario che si lascia vedere, ma a cui avrebbe giovato un più sapiente dosaggio degli ingredienti.